Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

31.12.10

Going, going, gone

Posted by SunOfYork |

Giusto per sdrammatizzare un po' l'ultimo tristissimo post, volevo dire che tra tanti cazzi e mazzi che ho per la testa, due dei più pressanti di queste feste sono stati:
1. riuscirò a scrivere 43 post nel 2011 come mi ero prefissata secondo il progetto bislacco di incrementare la produzione di post di uno l'anno (40 nel 2007, 41 nel 2008, 42 nel 2009, 43 nel 2010)? E se non ci riuscirò, sarà mica il caso di chiudere il blog per fallimento e mancata forza di volontà della legittima proprietaria? E se invece ci riuscirò, chi ne gioirà? Sopravviverò all'ansia di sapere che per il 2011 dovrò scriverne 44? E perché anziché questa successione così banale, non seguo la serie di Fibonacci?
2. perché diavolo sull'enorme lcd dei miei non si vede Real Time? Perché il destino si accanisce così crudelmente su di me privandomi di programmi vitali come Wedding planners, Ma come ti vesti?, Cortesie per gli ospiti e Il boss delle torte proprio durante le vacanze di Natale quando avrei tutto il diritto di starmene spalmata come un'ameba sul divano dei miei genitori con un plaid e una papalina in testa? E perché, tutt'un tratto, anche a casa dell'uomo che frequentavo solo perché aveva Real Time, Real Time non si vede più? Come faremo adesso, senza Enzo che dispensa consigli di stile mentre il legittimo proprietario della tv sbuffa come una locomotiva e cerca di perforarsi i timpani con uno spillone? Dovremo decidere cosa ne sarà di questo rapporto?
Per fortuna ci hanno assicurato che nel 2011 Real Time sarà di nuovo visibile ovunque.

Quindi almeno per l'anno che verrà, avrò due certezze: il blog non chiuderà (eccolo, è questo il post n.43) e tornerò a vedere Real Time. Tutto il resto sarà grasso che cola.

La fregatura è che, prima o poi, le persone vanno via. Prendono il volo: si sposano, mettono su altre famiglie, partono per l'estero, hanno dei consuoceri che li reclamano, non tornano a casa per le feste perché non hanno ferie e devono lavorare, si ammalano, passano natali in ospedale, a volte muoiono anche, e il tavolo dei natali passati inizia a sembrare inutilmente grande.
Attorno ai tuoi nonni, sempre più anziani, i loro coetanei cadono come birilli. Le signore con cui tua nonna prendeva il caffè e lavorava a maglia dietro la finestra non ci sono più. I colleghi del nonno sono andati via anche loro, e lui apprende della loro scomparsa con crescente rassegnazione, calcandosi il cappello sulla fronte, gli occhi azzurri appena velati. E tutto attorno a quel nucleo originario si crea il vuoto, e non puoi non chiederti per quanto ancora la sorte sfiorerà quel nucleo per poi decidere di risparmiarlo, ma tanto sai bene che è solo una questione di tempo prima che da tre generazioni si passi a due, o che qualche altra colonna portante di questa famiglia prenda il volo, mandando a gambe all'aria quegli assetti che pensavi eterni.
E tu, nei tuoi quasi trent'anni, puoi ricacciare indietro quanto vuoi quella vocina che ti dice che a breve spetterà a te far ripassare la famiglia dalle due generazioni superstiti alle tre delle nuove leve, a restituire un po' di meritata gioia a questo agglomerato inestricabile di follie a cui appartieni. Puoi respirare a fondo e importi di non aggrapparti a destra e a manca nel tentativo disperato di ricrearti un'illusione di immutabilità solo perché la tua famiglia originaria si sta disgregando sotto i colpi di tragedie pesanti come macigni e fatiche di Sisifo, e allora devi figliare, o sposarti, o almeno avere un uomo definitivo per togliere un pensiero a un padre in pensione da un mese e una madre sempre più simile a una mina vagante.
Solo che tu non hai niente di certo da offrire, e il tempo ti morde feroce i calcagni, e di una progettualità che svalichi anche solo un arco di tempo più ampio di un finesettimana dalle tue parti manco a parlarne, e tutto sembra andarsene a ramengo, anche i tuoi risibili tentativi di arrestare l'inarrestabile slavina degli eventi infilando lo stesso puntale su un albero sempre uguale.

Sia messo agli atti che, in una sola mattinata, son state effettuate le seguenti acquisizioni psicanalitiche:

-concepisco le relazioni come intricate dinamiche di forza (in cui devo vincere io, o sbrocco);
-quando ho dimostrato a me stessa di avere qualcuno totalmente sotto il mio controllo, allora inizio a tirare la corda per vedere quando si spezza (e se non si spezza, sbrocco, e se non è sotto il mio controllo, sbrocco uguale);
-soffro di una sorta di presbiopia sentimentale autoimposta per non sbroccare (ma che non funziona, e quindi sbrocco)
-ho il terrore che i miei ex vadano dallo psicologo e che gli raccontino di quando sbroccavo;
-sposerò un uomo e dopo 25 anni di matrimonio mi convincerò che non era quello giusto (e sbroccherò)
-sono mia madre.

Beato chi mi se piglia.

Sul nuovo numero di Wu Magazine si parla dell'uomo traditore.
Ma è solo perché io son donna e per solidarietà di genere non parlo delle donne che tradiscono, perché invece l'argomento, si sa, è orizzontale a sessi, età, orientamenti sessuali.
Io ho tradito e son stata tradita.
Non è stato bello, in nessuno dei casi.
Tanto vale riderci su

(chi volesse esprimere la sua esperienza qui sotto, prego, si faccia avanti senza remore, siam qui per questo!)

Bene, sono tornata nella dimora pugliese per il weekend, ché, non rientrando alla base da agosto, vedevo il povero babbo leggermente scompensato.
C'ho ritrovato il solito cirque du soleil: roboante, frenetico, rumoroso, in perenne mutamento.
In tutto questo delirio di movimento, l'unica presenza rassicurante e immota è rappresentata da mio cugino Michele, un esistenzialista proustiano duro e puro. Taciturno, riflessivo, introverso, di una malinconia tendente al nichilisticheggiante e totalmente inetto per le questioni pratico/manuali.
Michele apprezza enormemente l'arte e la letteratura, ed è convinto assertore dell'idea che dalla gioia non possa nascere mai niente di artisticamente valido (tempo fa, ascoltando la tristissima colonna sonora di In the mood for love, mi chiese in un sospiro "com'è che le cose tristi sono anche le più belle?). Ha un'ironia asciutta e priva di fronzoli, ed è di una severità spartana per tutto ciò che riguarda i piaceri della vita: ultimamente ha deciso che si vestirà solo di grigio "perché è un colore molto sobrio", se deve mangiare insalata, la mangerà scondita, "perché l'olio costa troppo", se deve dare un nome a un animale, anziché quei nomini zuccherosi gli attribuirà nome e cognome e lo chiamerà Mauro Rizzi, come il suo migliore amico, un altro pezzo da novanta con la fissa per i francobolli.
Per non parlare dei rapporti con l'altro sesso: perdite di tempo inutili al fine di un arricchimento spirituale e culturale.
L'unico divertimento concepito da questo asceta medievale sono i mappamondi e lo studio matto e disperatissimo della storia. Insieme, ovviamente, alle chiacchiere con Mauro Rizzi (quello stramboide del suo amico, non la povera bestia)

Michele ha 7 anni, oggi mi ha chiesto ragguagli sulla figura di Giovanna d'Arco ed è andata così (letteralmente):
Michele a Sun: ieri la maestra ci ha mostrato un quadro con Giovanna d'Arco. Mi spieghi per bene chi era?
Sun (nel panico): allora, Giovanna d'Arco è stata un'eroina francese [segue lunga e dettagliata spiegazione della vita e delle opere di Giovanna d'Arco tratta pari pari da Wikipedia]... e poi alla fine fu condannata al rogo e arsa viva con l'accusa di essere una specie di strega.
Michele (che nel frattempo mi ha fissato ininterrottamente con la massima attenzione): "eretica", si dice. Ce l'ha detto la maestra. Ma lo era davvero?
Sun (già stufa di queste domande): no no, fu solo accusata di eresia ma non era vero niente
Michele (accorato): io non capisco come sia possibile uccidere qualcuno. E per di più innocente! E senza nessuna prova di colpa. Com'è possibile? Dimmelo tu!
E ora che cazzo gli racconto a 'sto stronzetto? Gli stampo un bacio sulla fronte che lo umilierà e gli ricorderà per tutta la vita che quando era bambino non lo ritenevo degno di avere una spiegazione coerente? Scappo urlando? Cosa posso cercare su Wikipedia? Esistono forum sulla liceità della pena di morte? Gli allungo il Dei delitti e delle pene di Beccaria? Dove diamine sono i genitori di questo bellimbusto? Azzardo una spiegazione che troverà banale? Azzardo una spiegazione non banale che non capirà perché troppo piccolo?
Ci provo.
Sun (solenne): certe volte le ragioni dei potenti non coincidono con la verità storica, nè con quello che è moralmente giusto.
Michele: Aaaaaah, infatti, lo dicevo io! Il fine giustifica i mezzi!
...

Per essere felici si dice basti poco.
E io di motivi di felicità, in questo piovoso inizio inverno, ne avrei più d'uno, ma non starò qui a dirli ché da queste parti si è ritrosette, un po' selvatiche e sempre timorose che dar voce a quel "tanto" tanto atteso, significhi sminuirlo un po'.
Si dirà invece del "poco" e dell'incidentale, ossia della scoperta fatta a questa veneranda età che una borsa dell'acqua calda piazzata sulla sedia a mo' di cuscino sia in grado di strappare qualche sorriso e svoltare il pomeriggio di lavoro.
Per non parlare di stasera, quando la piazzerò sotto il piumone e starò lì a sollazzarmi beata, ché non mi sentivo tanto sana di mente a passarmi il phon con ionizzatore sui piedi intirizziti prima di andare a letto.
Che per essere felici basti poco, secondo me, non è mica tanto vero: si è felici con poco quando tutto il resto fila liscio (bella forza, in effetti), ché se tutto va storto e il cuore dorme all'addiaccio, capirete che ben magra consolazione sia avere le chiappe al caldo.

(e sempre per la serie "le scoperte dell'acqua calda alla soglia dei 30", ho anche capito che i broccoli -nonostante il pessimo odore- sono ottimi, che girare le frittate è semplicissimo, che le castagne in qualsiasi modo le si cucini -purché questo non implichi imbrattare il forno- sono un dono del cielo, che i sentimenti sono complicati, che è ora di darsi al vino novello, che imporsi di dimenticare qualcuno non funziona e che ci sono giorni in cui Milano è più bella di quanto si pensi)

E va bene, io finalmente ho capito una cosa. Resistere. Bisogna che io tenga duro fino al 30 novembre, che vinca questa gara di resistenza con me stessa, ché è così tragicomico quante scadenze lavorative, consegne improrogabili, ricorrenze, appuntamenti con la storia familiare, aerei, telefonate cruciali, mani da stringere e accordi da prendere, moduli da inviare via fax o portare brevi manu, preventivi da richiedere, testi da mandare in stampa, mail cruciali, risposte da fornire, il caso abbia deciso di affastellare in una sola data, peraltro così vicina, ché quasi quasi mi vien da sperare che per me le vacanze di Natale quest'anno inizino il 30 novembre, o il mio universo, così come lo conosco, imploderà.
Son stanca già di prima mattina, e la sera non ne parliamo, son stanca anche di dire che son stanca alla Debs che è anche lei tanto stanca, e quindi parliamo del nostro sogno comune: poterci permettere un massaggiatore che, incluso nel prezzo, ci rimbocchi le coperte e ci sussurri nell'orecchio "andrà tutto bene, sei stata brava" mentre scivoliamo nel sonno.
Insomma, volevo dire una cosa: questo è un periodo così pieno e faticoso che da queste parti si è dovuto operare dei tagli importanti su frizzi e lazzi e anche la sola idea di dovermi depilare per darmi un minimo sindacale di decenza potenzialmente mi devasta.
Che si fa in questi casi: si opta per il buio totale, ci si tiene ben stretti i vestiti e si propone di passare il weekend davanti ai meravigliosi programmi di Real Time (qualora non ci siano partite, accordato), si fa appello alla propria dialettica per convincere l'uomo che l'amore significa prendere il pacchetto completo (peli inclusi), si tirano fuori posizioni da femminista incallita, si vince la stanchezza e ci si impegna nell'eterna lotta con la depilazione, si fa finta di niente e nel momento in cui lui nota qualcosa si dice "oops un peletto" sbattendo le ciglia o si ubriaca l'uomo a mazzate di superalcolico?

10.11.10

Esplosioni di gusto

Posted by SunOfYork |

Quando ero piccola, guardavo mio nonno intagliare le castagne prima di arrostirle. Quell'operazione meticolosa, davanti al camino, mi sembrava inutile e noiosa. Che un ateo, poi, incidesse una croce su ogni castagna, mi pareva davvero avesse poco senso, se non quello di ritardare il momento in cui avremmo mangiato le castagne. Non che al mio "nonno perché fai così?", mio nonno fornisse spiegazioni che andassero oltre un burbero "si fa così e basta", e questo fino a poco tempo fa è bastato a farmi avere in antipatia le castagne.
Il fatto, però, è che i cibi autunnali sono buonissimi e fanno allegria e convivialità, anche se sono una rottura. Pulire la zucca costa fatica, intagliare le castagne idem, cuocere i broccoli ti obbliga a tener le finestre spalancate.
Allora, visto che ormai son grande e dotata di raziocinio, ho deciso che una risposta come "si fa così e basta", a me non basta più. E quindi, anche se mio nonno non c'è più, volevo dimostrare al mondo intero che quella croce è un inutile spreco di tempo. Quindi ho messo le castagne intere in un recipiente, ho acceso il forno e le ho semplicemente infilate dentro, poi son tornata a tradurre.
Tempo 20 minuti, c'è stata un'esplosione nucleare. Sei castagne sono esplose una dopo l'altra nel forno, facendomi prendere un colpo, e soprattutto incasinandomi il forno appena pulito.
Appurato il fatto, e dopo aver copiosamente dato sfogo alla mia furibonda tempra di barese, ho spento tutto e aperto lo sportello del forno, in modo da pulirlo da freddo. Inutile dire che è stata un'idea stupida. Le castagne rimaste in forno hanno continuato ad esplodere, incasinandomi così anche la cucina appena pulita.
A quel punto eravamo io e l'ultima castagna sopravvissuta a quella Hiroshima culinaria.
Ci siam guardate, io ho impugnato un coltello, l'ho incisa, e l'ho rimessa nel forno per un paio di minuti.
Ora è pronta, l'ho anche sbucciata e la stronzetta è lì che mi guarda, ma non so se mangiarla o meno.
Se scopro che è marcia io non lo so mica che succede, penso che potrei usare il forno per scopi altri quelli prettamente culinari.

Io non lo so mica se è vero quello che leggo in faccia a mia nonna quando le presento il fidanzato di turno e lei alza gli occhi al cielo, scrolla le spalle, e si vede chiaramente che sta pesando "ecco la nuova vittima sacrificale". So che tutte le donne della mia famiglia hanno sempre scelto uomini caratterialmente meno forti di loro. Anche se, più che di scelta, parlerei di un obbligo - ché trovare uomini caratterialmente più forti di loro non era una cosa da tutti i giorni, e non generalizzerò dicendo che trovare uomini caratterialmente più forti di una donna x non sia una cosa di tutti i giorni, anche se ogni tanto quest'idea fa capolino.
E fa capolino nei momenti in cui il fidanzato di turno ha mezza linea di febbre e giace rantolando sul letto.
Se ne parla qui, sull'uscita di Novembre di WU Magazine.
Io giuro che al prossimo fidanzato faccio fare tre cicli di Polimod a partire da settembre.

Ieri sera, spaparanzata sulla Poang, parlavo al telefono con l'amico K. Tra lamentele (sue), ansie (mie) risate scomposte e dubbi amletici (di entrambi), ho chiuso il telefono alleggerita.
Il perché, col mio solito acume, l'ho capito solo stamattina e ha dato una risposta a quella strana sensazione che serpeggiava da mesi: sebbene a distanza, l'amico K. e io stiamo facendo due percorsi paralleli - per la prima volta vogliamo provare a dare una sistemata alla nostra vita, tipo quando si fanno le pulizie di primavera e si ordinano gli scaffali per colore, e si butta via il vecchio o l'usurato.
Non che dare una sistemata alla propria vita sia di per sé un evento epocale su cui scrivere chissà che post, (molto di più lo sarebbero le pulizie di primavera), ma è come se entrambi avessimo avuto nel medesimo periodo la percezione che sia giunto il momento di fare le cose per bene -ché ormai non è più tempo di sputtanarsi l'esistenza- e che anzi sia necessario dare una risposta a interrogativi del tutto pragmatici e quotidiani come voglio che il mio futuro sia in questa città o voglio far qualcosa per spostarmi? riesco ancora ad essere coerente con ciò che sono o sono sceso a orribili compromessi? troverò il tempo di ultimare il cambio di stagione? è questo il lavoro che voglio fare per il resto della mia vita? sentimentalmente avrò fatto le scelte giuste o meglio porre rimedio prima di (inserisci attività a scelta che ti lega tanto a una persona)? sto numerando per bene le fatture e ho conti in sospeso?

Ovvio che tutta questa serie di interrogativi è come una coperta troppo corta che ti lascia perennemente i piedi scoperti e intirizziti mentre fai per coprirti l'orecchio. Non fai a tempo a sistemare un aspetto della tua vita che subito un altro implode.
Ovvio anche che, messi sotto pressione da tutti questi quesiti e dall'idea dell'età che incombe, c'è un'altissima possibilità che io e l'amico K. si operi metodicamente tutte le scelte sbagliate.
Come capita a volte, al mare, quando tra una bracciata e l'altra ti metti a riflettere sulla respirazione, ti confondi, annaspi e tiri su una boccata d'acqua salata che ti fa tossire. Eppure nuotare, sai nuotare, e le scelte le hai sempre fatte senza accorgertene.
Amico K., tiriamo la monetina?


Ma sono l'unica che ogni santa volta che riempie i campi email e password per effettuare un qualche login, e poi spunta la casella Ricordati di me, in testa canta Ricordati di me (questa sera che non hai da fare) e poi si mette a ridere da sola?

Sono solo le 9.54 e mi è capitato già un paio di volte sul sito del dizionario Garzanti.

Ovviamente l'increscioso episodio è seguito sempre dalla stessa doppietta: brivido lungo la schiena per l'untuosa viscidezza di Venditti e la constatazione di quanto sia diventata nerd.
Insomma, ci son voluti ventotto anni, ma ce l'ho fatta.
Festeggerò con una partita a Bubble.

20.9.10

Wu Magazine - Settembre 2010

Posted by SunOfYork |

Il primo appuntamento non si scorda mai.
Nel bene e nel male.
Se ne parla qui, sull'uscita settembrina di Wu Magazine.

(ah ah ah, mi derido da sola, ma giuro che quando ho scritto che avrei chiuso questo blog, ci credevo sul serio. Almeno per i primi 15 minuti. Poi il tempo passa, il tempo passa, il tempo passa, e pure velocemente e questa ve la devo proprio raccontare)

Bene, visto che a sminuire tutto son brava, diciamo che sto passando un periodo un po' difficile. Tra picchi di euforia e baratri emozionali, ho deciso di fare le cose che normalmente mi fanno star bene: prendermi cura di me stessa (farmi una doccia, ché non si è mica fighette qui) e sistemare la casa, ché quando il disordine interiore regna sovrano, quella di dare una parvenza d'ordine a ciò che mi circonda diventa un imperativo assoluto.
Ecco come sono andate le cose nel solo pomeriggio di ieri e nei 2 mq del microscopico bagno di casa mia.
Prima però un piccolo prologo - chi mi conosce, sa che qualche problemino coi bagni ce l'ho, a partire da quando -a causa di una fatale ingenuità del legittimo proprietario di casa, che in un impeto ecologista decise di raccogliere gli oli esausti derivanti da una frittura di panzerotti in un flacone di detersivo per i pavimenti, e ovviamente, di riporre tale flacone tra gli altri detersivi- decisi di aiutare il poveretto, immerso nell'affanoso compito delle pulizie, lavandogli alla perfezione il pavimento del bagno con quella miscela untuosa (cosa che probabilmente verrà rimproverata alla sottoscritta per i secoli a venire) e pensando anche "ah però, che strano odore ha questo nuovo detersivo". Quanto al mio bagno, chi legge questo blog forse ricorda che abito in un palazzo nel centro storico e sa anche che casa mia, per quanto deliziosa e naif, è messa male per tutto quello che riguarda l'impianto idraulico, cosa che si ripercuote in tutta la sua nefasta problematicità soprattutto nel bagno. Un bagno minuscolo in cui, fino a qualche tempo fa, (poi ho risolto brillantemente col domopak) dovevi scappare alla velocità della luce se tiravi l'acqua dello sciacquone, perché dalla cassetta in alto pioveva a catinelle, in cui sono successi episodi degni del miglior genere splatter, in cui si rompe ogni giorno qualcosa, in cui lo specchio è piazzato così in basso che se voglio truccarmi devo mettermi in ginocchio ecc.
Comunque. Ora funzionava (più o meno) tutto. Son lì che spignatto come una dannata in attesa che si palesi per cena l'amico Fascinoso Scrittore, per poi andare a sentire Dalla e De Gregori in serata, ed ecco che parte la serie di sfighe.
Faccio per scolare il riso (l'insalata di riso preparavo, manco un piatto da grande chef) ma mi dimentico dell'utilità delle presine nel sollevare le pentole. Afferro quindi i manici a mani nude, ustionandomele entrambe di brutto ma fortunatamente senza rovesciarmi tutto addosso, il riso però si riversa interamente nel lavandino. Sempre a mani nude e ormai ridotte a plastilina, tolgo il riso a manate per non intasare lo scarico e lo getto nel bidone dell'umido, dopodiché, incazzata nera per la stupidaggine commessa, prendo a calci il suddetto bidone, che -guarda un po'- si ribalta in cucina. Siamo già al delirio. Raccolgo alla meglio e mi impongo di calmarmi.
Prendo i miei fighissimi shampoo, balsamo e maschera per capelli di Provost (scusate, faccio pubblicità, ma mi hanno cambiato la vita, e solo una donna sa che soddisfazione sia trovare i prodotti per capelli che fanno proprio al caso tuo), mi strappo i vestiti e, nuda, mi dirigo come una furia verso il bagno. Nel farlo, passo davanti alle finestre del soggiorno, con somma gioia del mio vecchio dirimpettaio, ma vabè.
Arrivo in doccia, apro l'acqua, tiepidina, perfetta. Mi ci fiondo. Tempo tre secondi la fottutissima acqua per qualche fottutissimo motivo è gelida e non accenna a scaldarsi. Grondante, e dando voce alle peggiori bestemmie baresi che mi vengono in mente, vado a controllare la caldaia (in cucina). Mi accorgo di aver spostato la leva con una manata, nella rabbia. La risollevo e sto già crepando di freddo. Corro di nuovo in doccia. L'acqua finalmente è perfetta, passano 5, 10 minuti, metto balsamo, maschera, mi insapono trecento volte, faccio uno scrub. Poi noto un particolare inquietante. Ho i piedi immersi nell'acqua, che sta strabordando. Lo scarico è andato e il bagno è completamente allagato. Esco dalla doccia per rimediare, scivolo ma riesco a non cadere reggendomi al cerchio del water. Risultato: divelto anche quello, oltre al mio equilibrio psichico. Vi giuro, forse qualcuno molto crudele riderebbe all'immagine di me, ancora insaponata, che ramazzo il bagno con guanti e stivali da pioggia, io semplicemente sono scoppiata a piangere. Poi mi son fatta forza, ho asciugato il pavimento ripetendomi il mantra "peggio di così, che cosa può succedere". Forte di questa convinzione (e del pavimento lucidato a specchio), decido di capire il motivo di tale ingorgo.
Una piccola precisazione: ci sono solo due cose al mondo che mi fanno veramente schifo - la pasta cotta, quando rimane a lungo nel lavello e diventa bianchiccia e molle, e i capelli negli scarichi. Ovviamente, nel caso della doccia, era improbabile che l'otturazione fosse dovuta a dei fusilli (almeno spero), quindi giro la testa dall'altra parte e con in mano praticamente un intero rotolo di cartigienica, faccio per rimuovere i capelli. Poi, fatalmente, mi volto a guardare se li ho tolti tutti Insomma, la faccio breve, vomito, e non centro nemmeno il water, vomito sul pavimento appena tirato a lucido. A quel punto, in quella situazione lì, non puoi far altro che ridere.
E infatti rido, rido, rido fino allo sfinimento.
Poi mi alzo, rilavo tutto, e decido di riaprire questo blog, ché se son sopravvissuta a un pomeriggio così, sopravvivo a tutto. E niente, c'è chi si risolleva grazie a tramonti mozzafiato, a canzoni dal testo profondo, ad improvvise accensioni poetiche che riempiono tutto di senso.
Io ho avuto un'epifania nel cesso di casa mia.
(che fa pure rima)

P.S. Grazie, a tutti. Inutile aggiungere altro.

7.9.10

three wishes

Posted by SunOfYork |

accanto Loretta Lux - Three wishes.

Non scriverò per un po', forse mai più. Non chiudo il blog perché mi mancano le forze per far scelte e perseguirle con costanza. Perché mi ritrovo a iniziare settembre e a non credere più che qualcosa possa durare per merito mio, foss'anche la maledetta chiusura di un blog. Perché scriverei solo delle robe tristissime e mi ero abituata a strappare almeno un sorriso a post.
Non è tempo per sorridere questo.
Vi saluto con le mie three wishes e spero le vostre abbiano un respiro più ampio.

1.che il tempo passi
2.che il tempo passi
3.che il tempo passi

E magari anche un po' di senso a piovere su tutto.

E così pare che almeno per me l'estate sia finita. La giornata ventosa fuori lo testimonia, l'amico K. in procinto di venirmi a raccattare da casa in un tentativo di car sharing che ci porterà a roma, firenze e solo alla fine di nuovo a bologna al seguito di concerti che sognavamo da anni, e la quantità tendente all'infinito di valigie di vestiti e provviste di cibi pugliesi, pure.
Ma ciò che più lo testimonia è l'immutabile e sempre provante trepidazione dei miei genitori, lui tutto preso a far battutine sulla figlia che parte ma che nonostante siano ormai diversi anni che vive a 600 km di distanza da mamma e papà, senza di loro non è in grado nemmeno di sostituire una lampadina, lei che cela la tristezza del distacco diventando iperefficiente e riempendo ogni spazio vuoto nelle valigie con pacchetti di kleenex e merendine, in un moto di horror vacui e precisione degno della signorina rottermeier.
Che, si sa, già le partenze di per sè mettono ansia, gestirle poi all'interno di un delirio parossistico di ansie e nevrosi familiari, ti fa perdere tutta la calma zen acquistata in un mese di ferie.
Sempre uguali le raccomandazioni, rituali le domande (hai soldi? hai preso le chiavi? mi chiami quando arrivi?), sempre identica la mia reazione di stizza da vera nevrotica quasi trentenne, perenne la sensazione di partire per una colonia estiva per la romagna degli anni '40 con tanto di maglietta a righe marinare e brachini corti, innegabilmente straziante il sorriso barbuto di un padre che ti accompagna in giardino e ti saluta con la mano. Altrettanto innegabilmente confortante sapere che certe abitudini saranno sempre identiche a se stesse.
Mi restano di quest'estate molte passeggiate sul bagnasciuga, risate, baci, capelli biondi per il tanto mare, una serenità che viene dal profondo e l'immagine di chi, come un padre, spezza la punta dell'anguria e me la dona con un gesto di una dolcezza tale da obbligarmi a ricacciare indietro le lacrime.

La vita o è davvero ironica o davvero crudele.
Io di solito propendo per la prima opzione, per il gusto scenico di una scrollata di spalle seguita a ruota da un sorriso, per quanto amaro. Per la risata da avanspettacolo figlia dell'osservazione dell'assurdo e dell'incomprensibile.
Poi ci sono i giorni che fai fatica a prenderla con ironia.
Tipo quando è ferragosto, piove e non ti vien facile sorridere, e i cespugli di mirto, le dune, il cappello di paglia, il sole a picco, gli arcade fire a far da colonna sonora ai chilometri macinati tra saline e uliveti in compagnia di persone speciali, l'acqua cobalto e certi sguardi cristallini dei giorni precedenti non bastano a non farti sentire piccola e nera.
E così si conclude il messaggio positivo di ferragosto 2010.

Una volta ero a casa di un tipo che all'epoca mi piaceva abbastanza: mi ero fatta la doccia, la ceretta, la manicure, sistemata i capelli, messa un vestito fintamente semplice che in realtà mi era costato un capitale, scolata una boccetta intera di rescue remedy, ed ero giunta sorridente e un po' narcotizzata a casa sua. Lui aveva fatto il suo: aveva apparecchiato (+1 punto), cucinato da dio (+10 punti) e stappato una bottiglia di vino (+100 punti) -a suo dire- pregiatissimo -a mio dire- assolutamente inferiore a qualsiasi vino rosso meridionale. Figo era figo oltre misura (+1000 punti) e per giunta dotato di eloquio piacevole. Alla fine della cena, mi chiese se avessi voglia di vedere un film, e là già, cari miei, la sottoscritta prese a fare 2+2 (film, buio, vicinanza sul divano) e a gongolare, immaginate la scena quando mi propose di vedere un film horror: una roba che gli occhi iniziarono a rotearmi tipo slot machine per poi fermarsi quando entrambi erano due cuoricini rosso fuoco. Nella mia testa, quella tra film horror (il film, per l'appunto era "Non aprite quella porta"), una giovane fanciulla in fiore terrorizzata, che sul divano sussurra con un filo di voce dammi la mano ti prego ho paura, l'istinto di protezione del maschio italiano, la discreta quantità di alcol, e una copula infuocata e di lunga durata, era un'equazione certa.
Quello, invece, voleva proprio vedersi il film, era regredito all'età infantile e mi terrorizzava facendo "bu" negli attimi di silenzio, strizzandomi il braccio nei momenti clou e non faceva che accrescere il mio terrore con frasi ipnotiche tipo "non immagini ora che succede", "mamma mia guarda che bello, quanto sangue", faceva tutto, insomma, fuorché tentare un approccio. Ma insomma, il punto è un altro: lui non ci provava, e io mi misi a pensare al mio atteggiamento di fronte alle mie paure partendo dall'assunto che i ragazzi del film, tutto sommato si meritano ciò che capita loro. Perché, dico io, se uno vi dice "non aprite quella porta", ma perché diavolo dovete aprirla per forza? Ma che siamo matti? Se vi si dà un consiglio, magari un motivo c'è, forse non immaginate quali orrori si nascondano lì dietro, però capite che qualcosa di strano ci dev'essere, sennò cosa pensate che sia, una battuta "Non aprite quella porta"? Che dietro ci sia un clown col fiore che spruzza l'acqua? No, perché se lo pensate, allora siete dei deficienti e chi se ne frega se vi appendono a un gancio. Se invece lo fate per sprezzo del pericolo, allora siete deficienti uguale e vale quanto detto prima.
Io, ad esempio, sono una persona estremamente paurosa e pessimista. Non trovo gli orecchini di perla? Li ha rubati un ladro che proprio nel momento in cui li cerco nel portagioie è alle mie spalle pronto ad accopparmi con un cric. Mi gira la testa? E' un ictus ed è questione di istanti prima che tutto diventi nero. Vengono ad avvertirci che c'è una lieve fuga di gas nel palazzo e che dobbiamo scendere in strada? La salvezza è impossibile: nel vicolo si aprirà una faglia di sant'andreas, le fragili fondamenta seicentesche di casa si accartocceranno su se stesse e inghiottiranno tutti noi illusi che pensavamo di rifugiarci in strada. Sto dormendo e sento degli scricchiolii? Sicuramente è un serial killer che calpesta il parquet del soggiorno e tra qualche attimo varcherà con un coltellaccio da macellaio la soglia della mia stanza.
A tutto ciò come reagisco? Non reagisco. Non faccio assolutamente niente. Cioè, la teoria è più o meno questa: c'è una fuga di gas? se non c'è possibilità di salvezza (nella mia testa la salvezza è una possibilità inesistente), preferisco farmi brillare con la mia casa, che non abbandonerei per nulla al mondo come il capitano di una nave. Sei un ladro, vuoi i miei orecchini di perle o il mio portatile? E chi sono io per intralciarti? Mi allontano dal portagioie senza guardarmi indietro e mi chiudo in camera così puoi far per bene razzia, non ti guardo nemmeno in faccia così i carabinieri non mi possono chiedere di fare un identikit e tu sei tranquillo, e magari mi risparmi anche la parte della colluttazione in cui va a finire che mi ammazzi.
Sei un serial killer, sei venuto qui per spedirmi dritta al creatore? Va bene, fa' come vuoi, però non rompermi le palle, io dal letto non mi alzo, figuriamoci se apro la porta giusto per fare la gag della fanciulla che vede in faccia la morte e lancia un urlo stridulo che squarcia la notte. E poi faccio un piacere anche a te, caro il mio serial killer, ché magari se mi vedi in piedi di notte col mascara colato fino al mento e i capelli dritti in testa, ti spaventi pure e poi la notte dopo dormi male, quindi meglio se non faccio niente.
Per qualcuno è pura e semplice pigrizia, per me è astuzia.
E infatti, tutti i serial killer e i ladri d'appartamento che negli anni sono entrati in casa mia, (la teoria che il legno scricchioli da solo di notte non mi ha mai convinta) non mi hanno mai nemmeno sfiorata, un po' perché non mi hanno vista, mimetizzata com'ero sotto il piumone, un po' perché hanno evidentemente riconosciuto e apprezzato la mia cortesia nel non aprire quella porta per non intralciare il loro lavoro.

Poi, finito il flusso di pensieri, era finito anche il film. E allora l'ho tentato io l'approccio, ché non si è mica pigre da queste parti.
Per fortuna lui non era particolarmente pauroso.

Bob Brezsny, brutto stronzo di un astrologo crudele che hai fatto penare noi del Cancro per un intero semestre con oroscopi che oscillavano in maniera shopenaueriana tra il dolore e la noia, oggi ti dico: che Dio ti benedica! Stamattina, in una pausa tra la traduzione di un testo privo di alcuno spessore culturale (come dice sempre mio padre, è rincuorante sapere che, pur nella assoluta diversità, tutti i libri che traduco siano accomunati da qualcosa, da un labile eppur onnipresente fil rouge, dato per l'appunto dalla totale assenza di spessore culturale) e la ricerca compulsiva di immagini che ritraessero Louis Garrel nudo, ho letto religiosamente l'0roscopo di Internazionale di questa settimana, sia quello del mio segno, sia quello dei segni delle persone da cui dipende la piega che prenderà questa mia esistenza (efferatissima serial killer o serena quasi-trentenne dalle fulgide aspirazioni), e finalmente pare che tutto ritorni all'uno.
Chi c'ha messo un po' a capire delle cose, le capirà, chi aveva fretta che qualcuno capisse delle cose, imparerà a godersi il tragitto senza guardare sempre la fottuta meta, quelli del segno dell'amico K., di mio padre e del mio adorato commercialista Rollone, inizieranno a godersi la vita, la Debs, il fascinoso scrittore e la mia amata sorella minore smetteranno finalmente di fare i timidi e metteranno in risalto le loro qualità, i miei occhi di cancerina testimonieranno un'esplosione di grazia, probabilmente quella di chi sboccerà davanti ai miei occhi e mi lascerà a bocca aperta.
E qui, a proposito di cose che sbocciano davanti ai miei occhi, è partita tutta un serie di collegamenti razionali solo nel mondo di piccole follie quotidiane della sottoscritta, ma che mi hanno portata a concludere che Brezsny deve avere ragione perché tutt'a un tratto apro Youtube e tra i video consigliati c'è Un'altra vita di Paolo Conte, da cui la citazione del titolo di questo post, il poeta della nostra casa editrice è saltato fuori con una splendida poesia che parla di una piantina, e soprattutto, contravvenenedo alla legge non scritta che mi vuole la Charles Manson delle piantine, il basilico che avevo seminato poche settimane fa, sta venendo su bene, e, visto il mio pollice nero, non può che trattarsi di un'epifania, di un simbolico correlativo oggettivo di qualcosa che mi deve far sperare per il futuro, di un segno, proprio il segno che cercavo e non trovavo e poi ho smesso di cercare ed eccolo lì.
Pertanto io lo riempio ogni giorno di cure e piccole attenzioni come fosse un'edicola sacra di Barivecchia, e lui mi ricambia sprigionando dal davanzale un profumo di cose genuine miste a felicità, infatti, come vedete, la coccinella sorride mentre di solito si vuole suicidare.
E insomma, mentre si scopre che è bello credere in qualcosa, è l'otto luglio e tutto va bene.

Nessuno si azzardi a dire niente sul fatto che ho sul tavolo su cui lavoro, accanto alle pagine da tradurre, tre bottiglie di vino e una tazza da latte, o me ne fotto di Brezsny e gli lacero la giugulare a morsi.

Ci sono donne, come quella sulla copertina di Wu Magazine, che magari problemi a prendersi un uomo non li hanno mai avuti nè li avranno mai.
Poi ci sono quelle che, invece, devono sudare sette camicie e sbatterci cento volte la testa da brave kamikaze per raggiungere lo stesso obiettivo della strafiga in foto (che poi, perché mai le modelle hanno sempre quell'aria corrucciata?).
Chi se ne frega. È nella resistenza strenua, nell'eroismo della lotta, che si rintraccia la gioia del vessillo. Poi se nel frattempo ti ritrovi con un paio di esaurimenti nervosi in attivo, pazienza.
Se ne parla qui, su Wu Magazine di Luglio, e prima o poi state certi che metteranno anche la sottoscritta in copertina
(quando il giornale da un formato A4 sarà passato a un B0)

Non farò resoconti, ché questo non è stato un anno leggero neanche un po', e qualche rughetta attorno agli occhi me l'ha regalata, e poi per natura non mi piace guardarmi indietro.
Non farò nemmeno progetti, ché se qualcosa quest'anno mi ha insegnato, è a non essere presbite (e comunque per quelle orride montature da anzianotta c'è sempre tempo).
Dirò dell'oggi, invece, ché sono finalmente serena come non capitava da troppo, e vado in giro fischiettando In the neighborhood, e sorrido alle telefonate, ai messaggi su facebook, agli sms, ai baci e abbracci, e mi dico che da dov'ero un mesetto fa, si può solo risalire, in un modo o nell'altro. E quindi sorrido ancora, com'è giusto che sia.

Un po' di tempo fa, causa acquisto di computer nuovo, il mio vecchio portatile passò a mio padre, il signor S.
Con una meticolosità certosina che non mi conoscevo, feci sparire dall'hard disk e dalla cronologia di Internet tutto il materiale che ritenevo imbarazzante, con un'unica fatale dimenticanza: i segnalibri di Firefox.
Un mese dopo, parlando con il signor S. del più e del meno, e di quanto gli piacesse quel portatile che invece io avevo snobbato, mi disse di aver trovato tra i segnalibri "il sito di una squinternata che aveva una specie di diario pubblico" e aggiunse "che in Internet di gente sbiellata ne gira parecchia". Gli dissi che era il blog di un'amica di Bari che si è trasferita a Bologna anche lei (gli feci anche nome e cognome, per disorientarlo meglio - una roba da schizofrenica dura del tipo "ah sì sì è il blog di Paracula Gigantesca, veramente fuori quella ragazza lì, tranquillo, io mica la frequento più!"), e non so se sia più tornato a leggerlo ma dubito.
Caro signor S., se invece ogni tanto bazzichi da queste parti, in ritardo di due anni come la peggiore delle figlie ingrate, voglio dirti che ricordo quei giorni di fine giugno in cui, con una determinazione e una follia che mi ricordano da vicino qualcosa, hai preso una settimana di ferie, hai imbracciato delle immense travi di legno e le hai portate su per due piani, prima di capire che forse era più ingegnoso inventarsi un sistema di carrucole e traini molto simile a quello degli schiavi egizi di Cheope e Micerino e tirarle su da solo dal giardino al terrazzo della stanza mia e di F. Mi ricordo che io e F. odiavamo tutto quel trapanare alle 3 di pomeriggio, il disordine, il rumore del martello, la puzza della vernice per impermeabilizzare la betulla, le ore di discorsi su quali tegole fossero le migliori come copertura, i calcoli infiniti per vedere dove era meglio scaricare i pesi delle travi portanti.
Poi mi ricordo anche di te, che man mano che mettevi su un'altra trave ridacchiavi per quella creatura che prendeva forma, poi ti arrampicavi sul tetto, e ci passavi la guaina sotto il sole a picco del mezzogiorno pugliese, e non mi dimentico delle scottature che ti sei beccato per non metterti la protezione solare. E mi ricordo anche del sorriso che avevi alla fine, quando ormai avevi concluso il tuo capolavoro, e per giunta da solo, e di quanto ha fatto incazzare me e F. il fatto che per i tre mesi successivi portassi tutti i tuoi parenti e amici a vedere quella copertura di legno fatta con le tue mani, invadendo così il nostro spazio privato. Cattivissime.
Signor S. ogni tanto si rinsavisce, per fortuna, o forse semplicemente si cresce e si vedono le cose più distintamente. Oggi sappiamo che è stata un'impresa eroica, nel suo piccolo, e ci piace vedere che ti prendi cura del nostro terrazzo, che tu e la signora B. ci avete messo dei vasi con gli ulivi così quando torniamo in Puglia, ad agosto, io e F. possiamo sederci su quelle due poltrone la sera e chiacchierare fino a notte fonda e dire quanto ci piace quel gazebo di legno, e c'è sempre un po' di brezza lassù a levarci il tormento dell'afa, quindi grazie.
Poi, papà, volevo anche dirti che nel caso avessi trovato nel Vaio delle foto di una tipa un po' discinta, comunque quella è veramente la mia amica di Bari che si è trasferita a Bologna anche lei.
Veramente fuori quella ragazza lì, tranquillo, io mica la frequento più.

Caro William,
ci sono tanti motivi per cui io sono la tua donna ideale. Visto che, per quanto sensibile, sei pur sempre un maschio, te li spiego io così ti dai una scetata figlio mio, ché qua la menopausa incombe.
Ho pressoché il tuo stesso colore di capelli e occhi e ci somigliamo come solo le coppie che stanno insieme da una vita intera riescono a somigliarsi, perciò non sarà troppo un problema se i tuoi geni verranno annientati dai miei (perché così sarà, vista la natura dominante di certi geni della mia linea materna). Questo significa che i tuoi parenti davanti alla culla potranno anche escalamare estasiati "è tutto/a suo padre!", tanto chi se ne accorge della differenza, e comunque chi se ne frega di quello che dice tua nonna, che tanto lo sappiam tutti che va giù pesa col gin. Quanto alla mia famiglia, mio padre mi ha detto che non gli dispiacerebbe avere te come genero, anche se secondo lui mi merito di più, ma si accontenta. E la mia mamma sostiene che il mio nome, affiancato a Mountbatten-Winsor, faccia la sua porca figura sul campanello di casa e sui fazzoletti di fiandra. In più hai un fratello più giovane, e io ho una sorella più giovane. Ti viene niente in mente?
Poi sono alta e non dovresti chinarti troppo per baciarmi, cosa che con l'età e i primi acciacchi, non so, metti che il materasso sia troppo morbido o si sia rotta una molla, e ti faccia male la schiena, potrebbe iniziare a pesarti.
Sempre per la questione della genetica, i capelli mi diventeranno bianchi tardissimo e non dovremo spendere in parrucchieri e tinture, vesto in maniera discreta ma efficace e so stare in società, quando parlo inglese ho un accento che fa simpatia ma non commetto errori, so stare in società, non sono per niente ripetitiva, e ho un bell'eloquio: se serve, so parlare per ore della magnificenza del teatro elisabettiano o delle linee ereditarie dei Windsor. Inoltre potrei allietare le nostre uscite in pubblico con delle folkloristiche esternazioni come "moooo' e c iè stu tr'mon" oppure "auand stu scem" (davanti al duca di York), che romperebbero la staticità dei ricevimenti con i nobili, e ci renderebbero più vicini al popolo (quello barese, perché nel frattempo ci saremo spostati da Buckingham Palace al Castello Svevo).
A entrambi piace tanto il mare, quindi non avremmo il problema delle vacanze: potremmo andare in Polinesia francese, a Saint Barth, a Formentera, o ancora meglio a Pane e Pomodoro o a Torre Quetta, sfidando l'amianto.
E qui vieniamo al motivo principale per cui ritengo di essere la tua donna ideale: sono barese, quindi appartengo a una razza superiore in grado di pulire le cozze, di fare i panzerotti e cucinare bene la parmigiana di melanzane, le polpette, le orecchiette con le cime di rapa e il polpo in tutti i modi, quindi finalmente potrei farti capire che quella roba che mangiate voi dalle vostre parti, non è cibo, ma un triste surrogato, proprio come le donne inglesi non sono che un triste surrogato di quelle italiane.
Cioè, se non basta questo, io mi chiedo che diavolo posso inventarmi per convincere questo benedetto ragazzo.
Lui, o chiunque altro.


Sun: sto cercando dei lavoretti per arrotondare, tipo, ora sto valutando uno in cui si richiede una donna che abbia voglia di calpestare la faccia a uno, cioè, il mio sogno...
Amico K.: non ti è bastato calpestare la mia dignità per sei anni?
Sun: quale dignità, scusa?
Amico K.: giuro che ce l'avevo
Sun: in sei anni non l'ho notata, soccia che sbadata
Amico K.: eri troppo impegnata a sbavare dietro a XX.
Sun: dai, quante storie per una cottarella... smettila o mi vien voglia di farci un post e ho da lavorare.
Amico K.: "cottarella" durata sei anni. e comunque non dire cavolate, dirmi cattiverie non è un lavoro.
Sun: ah no? ma se ho aperto la partita IVA a posta!
Amico K.: quindi ora sulla tua carta di identità alla voce "professione" hanno finalmente scritto "demoralizzatrice"?

Ma che disastro io mi maledico, ho scelto te -un ex- per amico.


Ma dico io, ci sono 14°C, piove da giorni, non posso andare a correre nè programmare weekend al mare perché il meteo.it da cattivo tempo ad libitum, mi si sta scolorendo l'abbronzatura dei pochi giorni in terra pugliese, le vacanze sembrano un orizzonte quanto mai labile, il quadro di Audrey Hepburn del salotto e la sua legittima proprietaria, un pilastro della mia esistenza negli ultimi 3 anni, sono andati via da Bologna per una città 600 km più a sud dove sicuramente ci sarà il sole, l'Italia ha pareggiato con quegli sfigati della Nuova Zelanda, dopo il pranzo di addio domenicale mi sono ritrovata da sola a mettere in ordine in una casa svuotata di gente e scatoloni e valigie con fuori un freddo bestia che mi ha infiammato nuovamente il trigemino, stanotte avevo i brividi per il freddo ma imbottita com'ero di antidolorifici non ho avuto la forza di alzarmi per prendere un plaid, stamattina mi sveglio con la tosse e con uno scazzo del lunedì che la metà basta, accendo il pc per lavorare, e mi vedo questo logo del cazzo di google che sentenzia garrulo "è arrivata l'estate".
Ma sticazzi, omino stronzetto di google. Mi prendi per il culo pure tu?


Ancora due giorni. Ancora due, poi inizia la baraonda dei mondiali, delle partite in piazza maggiore, degli strombazzamenti in strada, dell'euforia alcolica o della disperazione più tetra.
Dei traumi da calcio ne discuto qui su Wu Magazine, dove ancora non ho capito bene perché mi lascino straparlare.

Cari tutti, una breve nota solo per dirvi che domattina la sottoscritta caricherà la macchina con i libri della sua casa editrice (quella che a causa di timidezza congenita e pessime dotei imprenditoriali ha omesso di dirvi di aver aperto e che risponde al nome di LeBolleBlu Edizioni), entrerà in macchina, ravanerà in borsa e si accorgerà di aver dimenticato le chiavi, salirà di nuovo in casa, tappandosi le orecchie e facendo làlàlà per non sentire le ennesime raccomandazioni del legittimo proprietario della macchina, l'amico K., recupererà le chiavi, tornerà al parcheggio, metterà su una compilation da viaggio con molti pezzi di Bob Dylan e Johnny Cash, farà un respirone poi accenderà la macchina, ingranerà la prima, accelererà a tavoletta, saluterà la Garisenda e gli Asinelli, e canticchiando si avvierà da sola ad imboccare l'A1 col vento tra i capelli.
Molte ore dopo, sempre in prima e col capello ormai cotonatissimo, arriverà all'Idroscalo, dove si accorgerà di non aver tolto il freno a mano, capirà a cos'era dovuto quel fumo che usciva dal motore, e lì incontrerà il restante 50% delle BolleBlu, vale a dire sua sorella minore, insieme a una fortunata amica cooptata come standista in occasione del Mi Ami 2010.
Lì potrete incontrarle venerdì e sabato in tutto il loro splendore, e assistere ad un esilarante reading notturno del nostro primo autore (sabato, attorno alla mezzanotte, palco La collinetta di Jack).
Il primo viaggio in autostrada da sola sa di gioia e rivoluzione. Non si sa perché, ma sento che avrò problemi con le macchinette all'uscita. Male che vada farò come l'ultima volta col mio migliore amico, il Perfido Manager: inversione davanti al casello e si torna indietro, poi ci si fa quasi arrestare, si fanno gli occhi dolci che col casellante stronzo non funzionano, quindi si torna a casa con una multa di centinaia di euro e molti punti in meno sulla patente.

Il problema, a volte, è che vuoi una cosa, e la vuoi fortissimamente, con tutta la disperazione di un adolescente e insieme l'ottusità di un adulto che non sa quando fermarsi. E allora ti ostini come se non avere quella cosa lì ti sottragga senso all'esistenza. E ci pensi, e pensi a come sarà bello quando l'avrai nella tua vita, e il solo pensiero di come sarà ti fa affrontare a testa alta gli sforzi necessari per averla e la frustrazione del non poterla avere hic et nunc, lo stesso hic et nunc che non stai vivendo perché inebriato da quella prospettiva di futuro che ti sei costruito in testa.
Io volevo una gonna a ruota.
Anzi, io non volevo una gonna a ruota - io volevo l'archetipo di gonna a ruota. Ne avevo parlato più o meno con tutti, sapevo esattamente come sarebbe dovuta essere: fondo nero, con dei fiori stilizzati solo su un lato, in basso, sui toni del cipria e del pesco, qualcosa insomma che sapesse di cineserie e primavera.
L'avevo mai vista questa gonna? No, avevo fatto tutto nella mia testa, come nella migliore tradizione femminile - e allora? E allora sapevo che c'era e l'avrei trovata. L'avrei indossata con delle ballerine nere e una magliettina nera con scollo a barca. La mia convinzione sul fatto che l'avrei trovata e mi sarebbe stata a pennello era incrollabile e coesa come un monolite nella tempesta, o anche come una donna kamikaze che cerca senza sosta una gonna a ruota nera con dei fiori di pesco. L'avevo cercata per un po', e stavo quasi iniziando a credere che forse avrei dovuto ridimensionare le mie aspettative, ché una cosa così bella non poteva esistere davvero.
Non la faccio troppo lunga: dopo un po' di tempo l'ho trovata e mi stava a pennello. Quindi l'ho comprata.
Ho aspettato l'occasione per indossarla e l'ho indossata.
Sono uscita di casa camminando leggera, con le gambe nude e la brezza che giocava leggera con gli orli. Sono arrivata alla fermata dell'autobus.
Lì per un attimo ho pensato che ero felice di avere quella gonna.
Poi si è alzato un refolo infernale, e mi son trovata con la gonna che mi copriva la faccia come quando gli ombrelli si girano al contrario per il vento.
E allora mi son detta che forse avrei dovuto apprezzare di più il mio adorato paio di jeans, ché rimanere col sedere scoperto non piace a nessuno. La gonna non so se la metterò ancora, ma la delusione è stata grande.

Di categorie di uomini da evitare ce n'è a bizzeffe. Senza pretesa di esaustività, se ne discetta su Wu Magazine, per l'esattezza qui.
Ma da queste parti si è convinti che, oltre ogni scetticismo, esista sempre un'eccezione che conferma la regola.

Ragassi, è successa una cosa meravigliosa: sono diventata una salutista. In un certo momento molto basso della mia vita, che si colloca cronologicamente tra l'aver ordinato cinese per 3 sere di fila, e l'essermi quasi strozzata con un uovo di pasqua dopo aver tentato di infilarmelo in bocca intero come ho visto fare alle anaconde su national geographic, ho deciso che qualcosa doveva cambiare in vista dell'estate: l'alimentazione e lo stile di vita.
Sulla prima, non posso andare troppo per il sottile - per quanto possa eliminare i carboidrati e i condimenti grassi, resta il problema dell'alcol, e tagliare una delle gioie della mia vita solo per averne un ritorno in termini di centimetri e consistenza delle carni, ma sticazzi, preferisco rimanere zitella (tanto lo rimarrò uguale) (almeno sono zitella e ubriaca) (sapeste quant'è dura star dietro a tutte le parentesi che mi si aprono nel cervello).
Sulla seconda, però, ho fatto molto: sono impazzita.
Il bello è che contemporaneamente a me è impazzita un'altra mia insospettabile amica, e ora andiamo a correre tra le 4 e le 5 volte alla settimana, dovreste vederci, corriamo come due disperate, a botte da un'ora e mezza alla volta, mica cazzi, ve lo giuro, siamo aggressivissime, dopo la corsa facciamo pure gli addominali urlando ogni volta "'fanculo" seguito dalle varie "nina moric/elisabetta canalis/eva herzigova ecc... -immaginate quanti ne facciamo- e ci arrampichiamo su per le spalliere, saltiamo ostacoli insormontabili ai più, ci motiviamo pensando a quanti spritz smaltiamo con un giro e ascoltando in loop il discorso del Sergente Hartman, ci siamo pure date dei nomignoli tipo "soldato bianca neve" e "soldato palla di lardo" (indovinate chi è il soldato palla di lardo?) in onore del grande Kubrick.
Pensate solo che oggi è domenica, piove, e noi stamattina siamo andate a correre lo stesso nel fango, e avevamo la faccia incazzata nera già dal primo giro del Parco dei cedri, credetemi, è diventata proprio una religione, noi il parco ce lo mangiamo in due falcate anche se diciamo sempre di "partire piano", davvero, siamo cattivissime, una roba da far spavento. Io propongo anche di fare un urlo di guerra ma la mia amica è più sana di mente di me e non me lo fa fare.

E insomma, pensavo che dev'essere davvero uno spettacolo bizzarro, per il maledetto 60enne dalla falcata fluida e dalla tutina stretch, che ci doppia ogni volta sulla salitella vicina al ponte, vedere due con la faccia disperata, sempre mezze sbrindellate, brutte sporche e cattive, vestite praticamente in pigiama, che corrono con gli occhiali tutte sudate, che non stanno mai zitte e danno voti da 1 a 100 a tutti gli uomini che passano -50 al sessantenne, è un periodo ormonalmente un po' così, capitemi- e che a un certo punto, dal nulla, si guardano in faccia e decidono di iniziare a correre sul serio. E quando corrono sul serio, signori, non ce n'è per nessuno.
Insomma, correre ci piace troppo, libera endorfine, ci fa bene e dopo, dormiamo beate. E non calcoliamo gli effetti sull'autostima di essere squadrate da un sedicenne brufoloso mentre sei nell'atto di fare stretching e di sapere che gli regalerai un mese di polluzioni notturne. Non calcoliamo nemmeno il ricevere un sorriso da un povero cristo a cui ballano le maniglie dell'amore o -com'è successo alla mia amica- di essere ammirate da uno sciancato calvo e viscido che anziché respirare, ansimava.
E vabbè, cosa non si farebbe per esser belle per l'estate.
Ma qualcuno di voi pensa che si possa davvero "spezzare il fiato" o è una leggenda metropolitana?
Perché noi tutto il resto sappiamo spezzarcelo bene.

So che non scrivo da tanto e magari mi dovrei sforzare un po' di più, ma è primavera e mi pesa il culo. Tutte le forze extralavorative, le impiego per correre al parco cinque volte alla settimana (e ci farò un post perché questa è la mia nuova religione), montare sedie altrui, ballare musiche anni '90 sbronza e ascoltare le vite degli altri.
Ed è per questo che torno a scrivere oggi, interrompendo un colpevole silenzio.
Per dire grazie al mio sconosciuto vicino di casa che, anche oggi, come le due primavere scorse, ha inaugurato la stagione delle finestre spalancate, e mi ha allietata con una hit della depressione che becca alcune delle canzoni che amo di più al mondo ma che mi vergogno a sentire da me perché le ho consumate da quante volte le ho ascoltate, ma se le mette qualcun'altro mi fa un regalo immenso (Who by fire, Gelato al limon, Don't think twice it's alright, Com'è profondo il mare, Smisurata preghiera, Naviganti).
Quindi grazie vicino sconosciuto. Palesati.
Se sei anche figo, facciamo l'accocchio.

P.S. una schicchera al primo genio del crimine che viene qua da anonimo a dire di essere il mio vicino.

Lui, una volta, le regalava enormi fasci di rose rosse.
Lei lo rimbrottò, facendogli notare lo spreco di denaro. "Mettili da parte per qualcosa di utile, qualcosa che non sfiorisca!".
Risultato?
Niente più fiori & niente cose che non sfioriscono.

A M.&V., che da 12 anni hanno qualcosa che non sfiorisce, e oggi sono special guests nell'articolo della sottoscritta su Wu Magazine.

Amici, fratelli, complici e sodali, vi dico una cosa che non sospettate: chi vi scrive, non è Sunofyork, è Paris Hilton.
Perché, cari miei, dovete sapere che come dentro ogni uomo c'è una percentuale di McGyver, dentro ogni donna, c'è una percentuale più o meno elevata di Paris Hilton.
Nel mio caso, la percentuale di Paris Hilton è solitamente molto bassa: il trucco non mi dona, i tacchi non me li posso mettere sennò non solo annichilisco gli uomini psicologicamente, li azzero pure sul piano fisico, i capelli non tengono la piega, e sotto sotto ritengo che le donne vere si temprino col parto e null'altro.
Ci sono però quei momenti -come questi giorni qui- in cui sento che la mia vita sta cambiando, e mi dico che già che sta cambiando, tanto vale darle da subito un imprinting positivo. Parto quindi con dei piani quinquennali che manco Stalin (e altrettanto fallimentari), che cominciano con: taglio di capelli (l'attuale somiglianza con raffaella carrà è frutto di uno di questi momenti di genio), assunzione di 1.5 litri d'acqua in un giorno -rispetto ai normali 3 bicchieri scarsi-, maschera per il viso all'argilla, compressa al carotene per regalarmi un bel colorito bruno d'estate anziché le solite ustioni con conseguente aumento esponenziale di nevi melanocitici, organizzazione del weekend alla terme slovene, pianificazione della dieta del minestrone (inizio in data da decidere) scrub del corpo e infine lei: la sacra ceretta.
Perché, anche alla mia veneranda età, nonostante abbia imparato ad amarmi così come sono, capita ancora che mi senta la protagonista di quel capolavoro di canzone di Alessandro Canino intitolato "Brutta" (il primo nostalgico che va a sentirsela, vince un a cena con sunofyork pre-depilazione) anche se in effetti io manco a quell'età ce l'ho avuta la fortuna di essere "la più stretta della scuola" nè tantomeno "un'acciughina" (una balenottera, forse sì, ma un'acciughina, per l'amor del cielo). A 9 anni, in effetti, ero una giraffona col 39 di piede e pressoché con la stessa taglia e altezza di oggi, motivo per cui mia madre si ostinava a volermi impartire nozioni di educazione sessuale mentre io volevo solo giocare con Barbie. Nè è un caso che, il giorno della mia prima comunione, più di una persona mi avesse chiesto dove fosse andato a nascondersi lo sposo, e quando, qualche tempo fa, per scherzare, ho riprovato quel vestitino bianco di pizzo san gallo e ho scoperto che mi andava ancora, la domanda "dov'è lo sposo?" mio padre me l'ha fatta lo stesso (anche se stavolta ho apprezzato un po' di meno l'ironia della situazione). E quindi, quando capita di sentirmi brutta o insicura, o desiderosa di buttarmi tutto alle spalle e ricominciare diversamente, chiamo Lei, la magica Oriana. Comprensiva il giusto, capace di bacchettarmi se ho trascurato una pulizia del viso, senza innestarmi una serie infinita di sensi di colpa, presente ma mai invadente, e sopratuttto dotata di mani fatate.
Oggi infatti, ho passato buona parte del pomeriggio con Oriana. Mi ha aggiornato sul suo matrimonio, mi ha raccontato del suo fidanzamento decennale, e poi, tra uno strappo e l'altro, ha alzato il sopracciglio e ha scandito solenne:
"Hai visto qualcuno negli ultimi tempi."
Sdraiata sul tavolo di marmo della cucina a farmi martoriare e sottoposta alla corte marziale. Lei continua a squadrarmi tenendo in mano un lembo della striscia che di lì a poco avrebbe strappato. Io nego, cincischio, ridacchio nervosamente come una quindicenne.
"Signorinella, nella fretta hai usato la lametta almeno 3 volte negli ultimi 3 mesi, vuol dire che vedevi qualcuno, sennò avresti aspettato di rivedermi per farti la ceretta. Lo vedo chiaramente dalla situazione che ritrovo dall'ultima volta che ti ho visto".
Io, continuo a star muta.
"Guarda che il momento karmico di una relazione è quando riesci a sincronizzare il sesso con la ceretta. Non precipitare le cose, santo cielo, sei una bionda con cervello. Se ce la fai, la relazione è destinata a durare."
STRAP

Ma glielo spiegate voi, all' adorabile Oriana, che quando ti imbatti per un puro caso nell'uomo che avevi in testa già all'asilo, 'gna fai proprio a dirgli di ripassare tra qualche tempo, ché tu c'hai la ricrescita del pelo lenta e non vuoi precipitare le cose?

Ah cari miei, se questo blog potesse parlare, direbbe che la sua proprietaria capisce giusto in queste ore, attraverso un'accuratissima parafrasi esperita direttamente sulla sua pellaccia dura, il significato profondo delle parole di T.S.Eliot, quando diceva che Aprile è il mese più crudele.
Bene, dunque, prendete tutte le nozioni di critica letteraria che vi hanno insegnato al liceo, prendete la teoria eliottiana del correlativo oggettivo, prendete gli apparati concettuali e le sovrastrutture che gli anni universitari e i vostri studi personali vi hanno inculcato, e buttateli via: quello che intendeva TiEs era: Aprile è un mese di merda.
Ora. Io ho sempre sostenuto che solo i depressi patologici non amino la primavera, che invece per me è la stagione più bella di tutte, perché l'aria profuma di lillà, i tetti rossi di bologna sono più rossi, il cielo è striato di bianco e un refolo impertinente ti sfiora leggero, mentre ti solleva la gonna lasciando scoperti i polpacci perfettamente depilati.
Poi, sono tornata indietro nel tempo, ho riguardato i miei post di aprile degli ultimi 3 anni. E c'ho trovato, à rebours, post molto emblematici del mio status:
-2009: Gli addetti alla fabbricazione del buon umore sono in cassa integrazione;
-2008: Momento di disperato ottimismo n.1
-2007: C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo
E insomma, ho tratto le mie conclusioni: o mi includo nell'insieme degli esseri umani patologicamente depressi che odiano la primavera, o mi includo nell'insieme degli esseri umani che a volte si sbagliano e dicono cazzate.
A spanne, opterei per la seconda: Aprile è un mese di merda, punto e basta, poi mi direte voi come siete messi a speranze primaverili, perché al momento la mia speranza è una sola: uscirne viva.
Ho intuito che qualcosa stava andando storto quando, nelle conversazioni con le mie amiche, (una in particolare, e lei sa chi è), la proposta di andare in una spa in Slovenia per un weekend alle terme tra sole donne, è diventata più di un semplice leit motiv: un vero e proprio intercalare la cui ricorrenza è direttamente proporzionale alle nostre piccole sciagure, a cui aggrappiamo le nostre speranze di sopravvivenza (ma anche di arrivare all'estate in forma dignitosa, che poi è uguale) e che arriva come una sorta di deus ex machina a darci sollievo da ogni nostro dramma.
Perché di drammi, grandi e piccoli, in questi giorni, ne vivo in quantità sufficiente a farmeli bastare per tutto l'anno.
Ma, c'è un ma: tra disillusione verso la mia forza, crisi lavorative, equlibri perduti, lontananze mal accette, rabbia che ti verrebbe davvero voglia di dare capate nel muro, ansie familiari e spossatezza generale, mi avanza tutto il resto, ed è tanto.
E sono le persone che nell'ultimo anno, senza che io me ne accorgessi, sono entrate nella mia vita e hanno fatto la differenza, e sono oggi la mia fede e la mia salvezza. Non vi nomino tutti perché siete tanti, alcuni sono arrivati da pochissimo anche se sembra una vita, e vi so schivi.
Ma è grazie a voi, se quest'anno, Pasqua ha il senso di un inizio nuovo anche per me.

Al mondo, ci sono almeno due Massimo Vitali. Uno è un fotografo famoso con la fissa per le spiagge, l'altro è amico mio. Al mondo, però, di Massimo Vitali in grado di fare frittate che sembrano frisbee, di obbligarti a salire in moto, di sorridere contagioso, di entusiasmarsi per Fausto Leali, di minacciare uno striptease prima di cena e di scrivere libri come L'amore non si dice, ce n'è solo uno ed è il secondo, e questa blogger qui, oggi, è un po' commossa all'idea di essere stata presente alla gestazione di questo libro.
L'amore non si dice, in uscita oggi per Fernandel, con prefazione di Alessandro Bergonzoni e postfazione di Grazia Verasani, è una raccolta di lettere d'amore che non parlano d'amore, perché Teresa, la donna a cui sono indirizzate, stufa di tanta melassa e dotata di un cuore di pietra, ha chiesto al mittente di parlarle di tutto, fuorché d'amore.
E quindi il povero Edoardo si ingegna come può, mette su un epistolario in absentia, accetta il silenzio di lei, e le scrive di ricette, di alberi, del lavoro, di Dio e persino di Elvis, pur di non dirle quelle due parole. Che però fanno capolino tra quelle carte da decifrare senza mai essere dichiarate, ora giocose e opalescenti come bolle di sapone, ora decisamente più malinconiche, quando il profilo dell'amata diventa labile e la mancanza si fa sentire.
Ma Edoardo non è uno che si scoraggia facilmente: come un Werther sgangherato, continua a scrivere le sue lettere una dopo l'altra, e a te non resta che biasimare Teresa per la sua scarsa lungimiranza e la sua incapacità di corrispondere sentimenti tanto delicati, mentre nel frattempo quelle parole che rimbalzano leggere contro un muro arrivano dritte dritte a sollevarti gli angoli del sorriso.
Un libro non dissimile dal suo autore, buffo e strampalato ma con una vena di sensibilità profonda, capace di regalarti una leggerezza sghemba che racconta di volumetti di Calvino, Queneau, Vian e Rodari recuperati in punta di piedi dalle mensole alte, di canzoni di Capossela e Conte e Dalla ascoltate sul divano, e che consiglierei a tutte le donne che non credono più al romanticismo maschile, ma anche a tutti gli uomini che non sanno trovare le parole giuste per conquistare una donna.
Basterà una di queste lettere a garantirvi il successo con la vostra lei.
(A patto che la vostra lei non sia Teresa.)

Allora, io ho capito una cosa: a un certo punto, nella vita adulta, è inutile che io neghi che nella mia persona c'è -perché c'è- un tasso variabile di pazzia e che questa variabile resti al di sotto dei livelli di guardia nella maggior parte dell'arco del mese, e che invece tenda a creare degli asintoti 1. nei giorni di sindrome premestruale o 2. nei momenti di maggiore stress psicoaffettivolavorativo (il che, a pensarci bene, nega quanto detto prima, essendo i momenti di maggiore stress psicoaffettivolavorativo una costante per almeno 25 giorni al mese - come può essere una costante un concetto non assoluto come "maggiore di"? Quello che è costante, è la certezza che ogni giorno sarà peggiore del primo, quanto a stress, non il tasso stesso di stress, cari gigioni miei), raggiungendo soglie ben oltre il catastrofico quanto i punti uno e due avvengono nello stesso istante.
Ora, l'unico modo per disinnescarmi, in quei momenti lì, è: o procurarmi molto dolore fisico (come ho fatto nello scorso weekend al concerto de Il teatro degli orrori con l'amico K. e la Divara -in questo senso 10 euro molto ben spesi- e gettandomi con quest'ultima in zona rossa tra omoni ubriachi che pogavano tutti sudati, assestandoti gomitate nelle costole, spintoni e quant'altro - quindi, cara Divara, ti ringrazio per aver condiviso con me quel momento catartico) oppure farmi piangere. Il bello è che l'unica che riesce a farmi piangere disperatamente (sì, ok, amico K., una volta ci sei riuscito anche tu mentre eravamo al ristorante cinese e mi hai detto che dopo le ultime relazioni, mi ero svalutata come donna, ma non conta, perché non avevi la consapevolezza dell'orrore di ciò che stavi dicendo) sono io stessa.
E quindi vi dico senza vergogna (sento già le sirene della neuro, non fa niente): ma lo fate anche voi il giochino di pensare a qualcosa che vi faccia piangere e addormentarvi per sfinimento col cuscino bagnato, la sera, quando siete a letto? E a cosa pensate?
Io ve lo racconto anche se so che c'è qualcuno che mi deriderà. Negli ultimi mesi ho un ricordo che mi strazia, soprattutto perché mentre sono sotto al piumone, al buio, caldo, lo associo a questa canzone, ed è questo ricordo:
Dicembre 2009 - visita natalizia all'Ikea con i miei cugini. Lui 6 anni, acuto, riflessivo (ascoltando il Claire de lune di Debussy, un paio d'anni fa, esclamò malinconico "ma perché le cose tristi sono anche le più belle?", togliendo ogni dubbio sull'appartenenza a un certo ramo depresso-contemplativo della mia famiglia), allo stesso tempo ironico, solitario, responsabile (pure troppo), lei 4, esplosiva, socievole, iperattiva, rumorosa, distratta (pure troppo). Lei corre allo Smaland, lui non ci vorrebbe andare ma non lo dice perché si vergogna della propria timidezza, quindi per un po' gironzola circospetto prima di entrare, poi un ultimo sguardo, ed entra. Alto e lungo come un fuso, con la pelle bianca, i capelli e gli occhi nerissimi. Sua sorella, biondina con la guance rubizze di Heidi, sta già prendendo a calci gli altri bambini e si esibisce in sgangheratissimi carpiati nelle palline di gommapiuma.
Ed è allora che lui si avvicina con gli occhi giganteschi e liquidi alla vetrata che divide la zona bambini dall'esterno. Per gioco, qualche giorno prima, gli abbiamo insegnato l'alfabeto muto e gli è piaciuto tantissimo, allora gli dico a gesti: torniamo tra mezz'ora, non piangere.
E lui da dentro ricaccia indietro le lacrime, e con le sue mani da pianista, velocissimo, ci dice: non ti preoccupare, non le faccio mettere la testa sotto le palline di gommapiuma.

Scusate, annego.
Io non lo so mica se ce la farò, senza psicofarmaci, a mandare i miei figli all'asilo.

12.3.10

Baciami ancora

Posted by SunOfYork |

pensa a quando sarai un benpensante pantofolaro del cazzo

Ve la ricordate questa frase? La pronuncia uno dei quattro protagonisti de L'ultimo bacio per convincere Pier Francesco Favino che sta per sposarsi a fare bungee jumping.
Bene. Sono passati 10 anni. Favino è diventato proprio un benpensante pantofolaro del cazzo, l'unica cosa su cui nel film precedente ci avevano beccato, e gli altri sono una galleria di macchiette quaratenni in grado di chiarirti una volta per tutte il significato dell'espressione "persona triste": il
separato indeciso (Accorsi), l'ex galetto che vuole recuperare un rapporto con suo figlio -ma per me, con quei capelli lì, non si merita nulla- (Pasotti), il freakkettone troppo cresciuto (Cocci), il depresso depresso (Santamaria), l'isterica -e vabè, questo le vien bene, concediamoglielo- (Impacciatore) e la povera crista che si ripiglia l'ex marito nonostante tutto (la bellissima Puccini).
Ora, io avevo già trovato particolarmente irritante che qualcuno avesse la presunzione di poter rappresentare un'intera generazione, quella dei trentenni, dipingendoli come incostanti problematici, incapaci di gestire la responsabilità del futuro e di apprezzare le fortune che hanno (e vabbè, ok, magari ce n'è qualcuno così, ma attorno a me vedo solo trentenni che arrancano sotto il peso di un lavoro sfibrante e malpagato e che sognano una stabilità familiare che non si possono permettere. E poi, ammesso pure che ci fosse rimasto un solo trentenne buono al mondo, ma perché di grazia, caro Muccino, lo devi convincere che tanto i suoi coetanei sono tutti inaffidabili e che è normale scoparsi la diciottenne e poi tornare dalla fidanzata perfetta che ti ripiglia? Ma per carità di dio, ma se ero io la Mezzogiorno, ma col cazzo che me lo ripigliavo il fedifrago, se lo poteva tenere stretto quel crocifisso, la Martina Stella, io mi tenevo la figlia e me ne stavo a casa mia col mio lavoro in attesa che arrivasse uno leggermente meno testa di cazzo).
E vabbè, comunque avevano trent'anni, erano giovani, glielo concediamo.
Ma ora ce ne hanno quaranta e sono più infognati di prima. Cioè, roba che se uno vuole illudersi che magari se tiene duro fino ai 35, poi supera un
limes da cui non si può tornare indietro e raggiunge, che ne so, la pace dei sensi, non può. perché c'è Muccino a dire no-no. Questi sono più immaturi di prima, sempre così tanto sopra le righe da risultare inverosimili, una fa la commessa ed abita a Roma in un appartamento stratosferico tutto arredato Kartell, non fanno che sbraitare, baciarsi, piangere, che ti verrebbe da dire a Muccino, oh cocco, ma guarda che la vita non è mica questa! La gente può essere meglio di così! E niente, questi si fanno del male a vicenda, si dicono cose orribili, poi si guardano negli occhi e si baciano. Ma non è un pochino semplicistico?
E parte la canzone di Jovanotti, che è da quando iniziò a fare il romantico lagnoso con Bella che mi fa rimpiangere i tempi cazzeggioni di Gimme five (all right), e che non posso far a meno di immaginare come un enorme gigione che se ne va in giro in bici e che viene visto da tutti come lo scemo del villaggio mentre lui si sente il filosofo zen di turno. E il caso vuole che la canzone incominci proprio con il verso "Un bellissimo spreco di tempo".
Proprio come vedersi questo film.

23.2.10

Wu - Febbraio 2010

Posted by SunOfYork |


Non so come, non so perché, ma mi trovate su anche Wu Magazine (da oggi online il pdf, da domani in cartaceo), e per l'esattezza qui, che sproloquio di capitalizzazione del senso di colpa maschile e faccio quello che mi viene meglio al mondo, rendermi appetibile quanto una rettoscopia agli occhi di qualsiasi maschio sulla faccia della terra.

Però giuro che non rompo per andare da Ikea la domenica!

Da qualche parte ho sentito che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo. E io, cari miei, un problema bello grosso ce l'ho, e ho tutte le intenzioni di affrontarlo: trattasi dei miei pantaloni di flanella rosa a quadrettoni grigi.
Io per partito preso non ho mai usato i classici pigiami, e, credetemi, non perché dorma nuda con due gocce di Chanel n.5 dietro le orecchie, no, no, col cacchio, d'inverno dormo intabarrata in dei tutoni osceni raffiguranti cappuccetto rosso acquistati da mio padre con lo scopo preciso di rendermi inappetibile e antierotica persino per il più infoiato dei maschi, mentre d'estate sfoggio una mise ancora più deprimente composta da mutande e magliette lise di squadre di calcio sfigate (no, il Bari non è una squadra sfigata, inutile che lo scriviate nei commenti). Dunque, dicevo, non uso pigiami, e non perché l'essere seducente sia una mia istanza primaria, diciamo pure che me ne frego del tutto: se calcolate che fino a maggio dormo sepolta dal piumone da cui spunta solo un delicato piedino n.39 -per tutti gli uomini che hanno dormito, dormono e dormiranno con me: so che è un gesto carino e pieno d'affetto, ma non provate a ficcarmi il piede sotto il piumone perché lo uso come termostato in modo da regolare la temperatura corporea, e passi la prima volta che vi svegliate per andare in bagno, vedete la zampaccia che spunta, vi intenerite e me la coprite, passi la seconda, che ridacchiate, pensate che io sia una simpatica mattacchiona e me la coprite di nuovo, alla terza divento una bestia e vi ammazzo nel sonno. Se a questo aggiungete che porto dei calzettoni di lana fino al ginocchio che talvolta sono anche bucati, che tendo ad assumere nel letto la classica posizione "a quattro di bastoni" e che russo* -ebbene sì, càpita quando hai tonsillite cronicizzata, deviazione del setto, turbinati ingrossati e sospetti polipi nasali- capirete che non ho bisogno di sottovesti in chiffon nè per sentirmi donna (ne sono tristemente consapevole a prescindere) nè per sedurre un uomo (se ti vogliono, puoi metterti uno scafandro da palombaro, vai bene lo stesso).
Quindi qual è il mio problema con il pigiama? Il mio problema con il pigiama è più o meno quello che hanno i tossici con le droghe. Non lo posso usare troppo spesso perché mi proietta in una dimensione che amo sopra ogni cosa e da cui non vorrei mai uscire, cioè quella della sciattona malaticcia, e dal momento che le sciattone malatticce per definizione non sono produttive, mentre nella vita adulta ti è richiesto di produrre, so che se la mattina mi sveglio avendo il pigiama addosso le possibilità che io mi alzi dal letto e mi metta a lavorare sono pari a quelle che un uomo, dopo aver letto il capoverso precedente, mi inviti a uscire: nulle.
Cerco, quindi, di regolamentare l'uso del pigiama limitandolo ai pochi momenti della mia vita in cui non mi viene richiesto di produrre alcunché nè di rendermi presentabile per nessuno, vale a dire all'incirca una domenica al mese. E quindi in quell'occasione indosso i miei pantaloni di flanella e ciondolo per casa molle come un budino, sorseggio tisane rilassanti, faccio lunghissime colazioni con pane tostato e marmellata di more, provo tutti i tipi di cremine per le mani, mi faccio la ceretta ma solo a una gamba (con gli effetti devastanti che tutte potrete immaginare sulla sincronizzazione della ricrescita) perché poi mi annoio e mi appisolo sul divano con un plaid di pile, mi sveglio, mi faccio un caffè, leggo l'oroscopo di Breszny, maledico Brezsny, metto su Capossela, fisso le pareti. Poi, stanca non so neanche io di cosa, decido che ho bisogno di rilassarmi, quindi mi sdraio di nuovo sul divano e decido tutta contenta di vedere un film in streaming. Quale?
Oggi, domenica 21 Febbraio 2010, la scelta è sciaguratamente ricaduta su Baciami ancora di Muccino, e ancora mi girano per aver sprecato due ore dietro a una simile stronzata.

Ma se ne parlerà nel prossimo post. Ora vado a godermi l'ultima ora del mio privatissimo pigiama party.
[segue...]

*Mamma, papà, se mi leggete, state tranquilli. So che non volete che mi alieni nessun individuo di sesso maschile, ma fidatevi, qualche pazzo che sorvolerà su questo piccolo difettuccio prima o poi lo troviamo. Oppure potrei assordarlo con degli spilloni.

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