Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Bene bene, l'autunno è arrivato,  e con esso anche mia figlia e un bel raffreddore di stagione. Entrambi doni di Paperoga, che ringrazio tanto (almeno per il primo) e che, nelle sue manie igieniste, ha vietato a se stesso e alla sottoscritta i baci e le effusioni verso la piccola per evitare il contagio e ha fatto incetta di gel disinfettante per le mani e per poco anche di mascherine da indossare mentre allattavo, pericolo scampato solo grazie alle mie rimostranze.
(voglio ricordare che molte delle bizzarrie dell'amico K. derivano dal trauma infertogli da  suo padre il quale, quando l'amico K. era neonato, faceva indossare mascherine a quanti lo andavano a trovare per paura che lo contaminassero, cosa che, dopo dieci anni di psicanalisi, è emersa dal suo inconscio più profondo con l'icastica ammissione "le prime persone di cui ho memoria, sono dei mostri senza volto").
Comunque, oltre ad aver causato un paio di notevoli traumi affettivi a nostra figlia di solo due settimane di vita, il raffreddore ci ha dato la possibilità di testare il nostro nuovo medico di famiglia, arrivato dopo una sfilza di individui inetti e pericolosi.
Se ne parla qui, sull'uscita novembrina di WU Magazine.
Di mia figlia, invece, non mi riesce di parlarne. Forse ci riuscirò quando smetterò di osservarla ad occhi sgranati per la meraviglia.

Ebbene, come vi ho detto, questi nove mesi ormai agli sgoccioli, sono serviti a me e al papà di A. principalmente a farci una cultura teorica sull'universo - bimbo.
Quello che abbiamo appreso, al netto di tutte le teorie bislacche e di tutte le concettualizzazioni idealistiche dell'universo-bimbo, è che essere genitori è soprattutto una grande lezione di concretezza, e dio solo sa se non ne abbiamo un gran bisogno.
Poche costruzioni mentali, ancor meno idealizzazioni e agire con serenità e buon senso.
La serenità e il buon senso che sicuramente ci mancheranno tra 4 giorni.

Per questo ho scritto un bignami delle nozioni apprese sui libri in questi nove mesi e l'ho pubblicato qui, sull'uscita settembrina di WU Magazine, per rendere un servizio utile a tutti ma in primis a noi due quando,  sommersi di pannolini e tutine sporche e schiavizzati da una neonata urlante che cerca di dettar legge sulle nostre vite, avremo bisogno di un compendio cartaceo su cui sbattere le teste.

Cara D.
come stai? Qui tutto bene a parte un po' di insonnia, per il resto siamo agli sgoccioli. Senti, non prendermi per matta se ti scrivo per farti una richiesta un po' stramba ma so che se c'è qualcuno che può avere ciò che fa al caso mio, sei tu. Ma che per caso tu ce l'avresti un vecchio cicciobello tra le cose che la Piera raccoglie per beneficienza? Non importa che sia mal messo. Va bene anche se gli manca un occhio o proprio la faccia. 
Non chiedermi perché mi serve, non vuoi saperlo davvero.
Baci,
Sun

Detto fatto, la cara D. mi ha preso in parola e, complici le inestinguibili risorse della madre, si è presentata ieri sera a casa nostra con due cicciobello, più un terzo pervenutoci da altre fonti, per un totale di non uno, non due ma ben tre cicciobello da me presto soprannominati per la loro inguardabile bruttezza, il Guercio, lo Sfregiato, il Monco, e in grado di coprire ogni tipologia di neonato: prematuro, normale e macrosomico. 

A questo punto, cara D., credo che il tuo mirabile impegno meriti una spiegazione.
Come ben sai, il futuro padre di A. è uomo sensibile, premuroso, acuto. Così acuto da essere perfettamente consapevole di poter discettare per ore della teoria del diritto di Kelsen ma di essere afflitto da un pressoché totale deficit di manualità. Ne è la riprova, il tragico episodio del montaggio della expedit del soggiorno con lui che scagliava martellate alla rinfusa in un delirio parossistico di oscenità e bestemmie irripetibili (giuro, ancora oggi guarda la mia amata libreria in cagnesco). D'altra parte, basta guardargli le mani, lisce, minute, delicate, con le unghie corte e curate come quelle di un papa. Le tipiche mani, insomma, di chi nella vita non ha mai fatto un c...o, ha sviluppato principalmente le proprie abilità a football manager il proprio lato teorico.
Lo stesso lato idealistico-teorico che ci ha spinto ad acquistare dei complicatissimi pannolini lavabili per svariate centinaia di euro per alleggerire il nostro impatto ambientale. Ebbene, l'ansia per la salute del pianeta, unita all'ansia che lui possa lussare le anche a nostra figlia al primo cambio di pannolino, ci ha spinto a formularti la bislacca richiesta, dopo aver girato per giorni in centri centri commerciali e dopo che lui ha scartato l'acquisto di bambolotti nuovi (49 euro un cicciobello? ma siamo matti?) e io quello di pelouche di Kermit la rana con la maglia della Juve e di Ugo la talpa in maglia interista (non posso spiegarti perché una rana non va bene per simulare un bebè ma, credimi, ci sono notevoli differenze).
Capisci quindi bene quanto grande sia la mia riconoscenza. Trascorreremo l'intero weekend a fare le prove, sperando che non ritenga necessario staccare entrambe le gambe ai pupazzi per mettere un pannolino.
Ti terrò aggiornata,
Sun.

14.9.12

Soon after midnight

Posted by SunOfYork |

Ora, tra i tanti piccoli e grandi fastidi che i nove mesi di gravidanza possono regalare a una donna, ce n'è uno di  cui io e tutti quelli che mi conoscono non pensavamo proprio avrei sofferto, e cioè l'insonnia (il tunnel carpale della gravida sì, ma l'insonnia proprio no). Voglio dire, io sono sempre stata una professionista del sonno estremamente metodica, non una di quelle che fanno le tre di notte il venerdì e poi si svegliano a ora di pranzo, che quello siamo buoni tutti - nossignore, io non ammetto proprio di fare le tre di notte, per me restare sveglia dopo la mezzanotte durante le uscite serali con gli amici è sempre stato uno strazio disumano, e non perché ho sempre avuto amici noiosi (anche se ora che ci penso...) ma perché il mio organismo si mette in modalità papalina e babbucce e non vuole più saperne di interagire con chicchessia. Persino a Capodanno aspetto come una liberazione il brindisi di mezzanotte perché così posso andarmene liberamente a dormire. Superata la soglia dell'una di notte, il sonno mi passa completamente e io mi ritrovo ad arrampicarmi sui muri come quei bambini troppo stanchi e ipereccitati per riuscire ad addormentarsi, cosa che va avanti praticamente fino al mio collasso nervoso. Per questo motivo, ho sempre cercato di dormire almeno sei ore ogni notte, sei ore piene e senza risvegli di nessun tipo, che come per magia, dall'inizio della gravidanza, si erano trasformate in nove ore notturne più un paio di ore di pennica pomeridiana. Insomma, una favola. Paperoga non so più quante volte ha dovuto svegliarmi al cinema perché stavo ronfando sui titoli di coda e scorazzarmi addormentata in giro per l'Emilia di ritorno da cene a Parma o Reggio. Di contro, lui, da buon insonne, non poteva certo venire a dormire con me alle dieci di sera, quindi, liquidatami con un bel bacio della buonanotte, rimaneva spanzato in divano affaccendato in chissà quali affascinanti attività (football manager sul mac mentre in tv danno il tennis? chat di argomento calcistico col fratello mentre si spara un documentario sui ghepardi su Nat Geo Wild?) per poi raggiungermi non prima dell'una di notte, espletare il suo rituale di addormentamento (leggere Topolino) e finalmente mettere a riposo quella capa iperattiva fino alle sette del mattino successivo. Il tutto mentre io dormivo un sonno così profondo da non accorgermi nemmeno delle sue imprecazioni se russavo troppo.
Poi è arrivato il nono mese, con il suo portato di vescica iperattiva e un numero di risvegli notturni mai inferiore alle tre/quattro volte. L'ultima delle quali, attorno alle 3.30 di notte, mi è ormai da quindici giorni a questa parte, fatale - mentre normalmente la trafila che seguo è questa: alla mia coscienza affiora quel tanto che basta a non svegliarmi il bisogno di dover andare in bagno, realizzo di avere entrambe le mani addormentate per via del tunnel carpale della donna gravida quindi mi crogiolo in pensieri illogicamente angoscianti del tipo che ne sarà della mia carriera da pianista (ma quale diavolo di carriera da pianista?) e della mia esecuzione del Rach 3 (eh????) se ora me le spezzo perché non le sento e faccio un movimento troppo brusco nel tentativo di risvegliarle e afferrare l'iPhone (Paperoga non riesce a dormire se non nel buio quasi totale) per illuminarmi la via verso il bagno? La storia della musica sarà segnata per sempre se non potrò raccogliere il testimone di Horowitz?, afferro l'iPhone, lo faccio cadere, smannaggio, lo raccolgo sbattendo la testa al comodino, arrivo in bagno, faccio quello che devo fare e torno a letto, il tutto senza essermi mai svegliata completamente.
Adesso tutto ciò non avviene più. Alle 3.30 gli occhi mi si aprono come due saracinesche spalancate su un nuovo giorno e in testa ho tutta la lucidità che avrei in qualsiasi momento della giornata (scarsa, dunque, ma sempre di più di quanta ne abbia di notte). Si tratta di una lucidità strana e resa vagamente nevrotica dalla vana permanenza a letto. Il risultato è che alle quattro, dopo essermi girata e rigirata mille volte infastidendo il papero, dopo avergli solleticato il naso con una ciocca di capelli e tirato qualche calcetto nella speranza di svegliarlo, sono in piedi e vago per la casa con un umore tra l'isterico, l'esaltato e il piagnucolone, preparandomi tisane calmanti, navigando sui forum in internet in cerca di cure omeopatiche per l'insonnia, spazzando pavimenti e riordinando scaffali, terminando romanzi su romanzi di Bufalino, Eugenides, Fante e innervosendomi ancora di più perché so già che l'indomani, quando mi lamenterò perché non ho dormito, chiunque -soprattutto gente coi figli- mi dirà ghignando la stessa profetica (ma comunque odiosissima) frase: bene, preparati, perché tra una settimana esatta sarà molto peggio di così.
E quindi rosico, mi innervosisco e mi sveglio ancora di più, giocandomi l'ultima chance di riaddormentarmi, ed è così, riversa sulla Poang, coi capelli dritti in testa, le occhiaie nere da tossica, più incarognita di Svevo Bandini e con la voce a pezzi dell'ultimo Dylan, che mi trova Paperoga al suo risveglio, ed è così che resto tutta la giornata. E poi ho pure il coraggio di chiedermi com'è che il poveretto non vuole venire a letto la sera?

Alla fine pare che siamo tornati dalle lunghe ferie pugliesi, dalle giornate trascorse a fare il morto nelle acque cristalline dello Ionio con il pancione finalmente privo di peso, dalle cene con gli amici di sempre nei paesini caposseliani del Capo. Siamo di nuovo a Bologna, a testimoniarlo il kit di venti pannolini acquistati in uno slancio ecologista e messi ad asciugare sullo stendino in attesa di iniziare ad essere utilizzati tra meno di due settimane, e le innumerevoli tutine accuratamente riposte nella cassettiera foderata di carta colorata.
A. sta arrivando e, dico io, ma non era ieri fine luglio, qualche giorno prima della partenza, quando io e il suo papà ci lanciavamo boccheggianti sul divano dopo cena, in una Bologna resa ostile dall'afa, ci guardavamo negli occhi e ci giuravamo con una certa trepidazione che per le successive settimane non avremmo alzato un dito e ci saremmo lasciati trattare da figli un po' viziati e cresciutelli dai nostri genitori? Non avevamo fatto il fioretto di avere come massima fonte di stress per il mese di agosto la scelta della spiaggia salentina  con l'acqua più limpida in base ai venti della giornata (tramontana si va sullo Ionio, scirocco si sta sull'Adriatico)? E allora come diavolo è che adesso ci troviamo di nuovo a Bologna a discutere con una commessa della validità del Tripp Trapp di Stokke o con un'anestesista dei benefici di una spinale vs generale?
A. sta arrivando, mancano meno di quindici giorni, come mi ricorda il countdown della mia migliore amica, e noi abbiamo già letto tutto quello che c'è da leggere sull'allattamento, lo svezzamento, l'addormentamento e la riduzione dell'impatto ambientale dei pannolini (sì, ci siamo fissati sull'argomento, ma sono pronta a scommettere che nel giro di un mese avremo lanciato dalla finestra le pie illusioni e riterremo giusto e sacrosanto se non auspicabile, il fatto che il mondo sprofondi sotto le tonnellate di pannolini di nostra figlia) ma in compenso il mio borsone per l'ospedale non è ancora pronto e chissà se lo sarà mai, o se lo sarò mai io, o se gli innumerevoli scatoloni in cantina prenderanno finalmente la  forma di una carrozzina, di un fasciatoio, di una bilancia pesa bambini e di un seggiolone verde mela che non c'entra nulla con l'arredamento della casa ma resta comunque indiscutibilmente figo.
A. sta arrivando e io posso immaginarmela quanto voglio, ma le uniche cose che so di lei sono che per motivi scientifici che scomodano personaggi come Mendel e termini come genotipo, omozigote, recessivo, avrà per forza gli occhi azzurri cone noi due, che è già una spilungona pazzesca come la mamma e una pigrona come il papà e si rifiuta di fare la benedetta capriola, che con la sua sola collezione di vestitini per i primi sei mesi ci ha già obbligati a dimezzare il nostro guardaroba per far spazio al suo, che scalcia fortissimo quando ascoltiamo i Beatles e che sarà accolta da un amore sconsiderato non solo da noi due, ma da una quantità di persone tale da far pensare che di questa A. potremmo non sapere nulla, ma avremmo comunque la certezza che sarà una bambina molto, molto fortunata.

Troppo tempo senza mettere mano a questo blog. Senz'altro l'amico K. aveva ragione: niente di geniale è mai stato detto o scritto o prodotto da gente felice. Ve lo immaginate voi un P. Roth perfettamente pacificato con se stesso o un Tom Waits cui all'improvviso vengano strappati rimpianti, emarginazione e strazio dalle corde vocali? La felicità toglie mordente e capacità di analisi per proiettarti in un altrove fatto di parole dette a bassa voce, piccoli gesti sorridenti, sguardi cristallini e attese sempre più brevi (per fortuna, ché se la felicità è tanta, altrettanta è la ritensione di liquidi quando ti ritrovi ad agosto all'ottavo mese).
E in tutto questo, ripenso al 1° settembre del 2010, al concerto di Leonard Cohen in Piazza Santa Croce a Firenze con l'amico K., a come all'epoca si fosse entrambi disperati e in balia di eventi che eravamo inadatti a gestire. A come un ciclo di vita disseminato di segni e crepe e destinato a durare un biennio sia iniziato quella sera sulle profetiche parole di Anthem, there is a crack, a crack in everything, that's how the light gets in, e si chiuderà questo settembre con una bimba che ci farà rinunciare a un altro concerto tanto atteso, ma getterà una luce nuova sulle nostre vite.

Questo accanto è il disegno fatto dalla mia amata cuginetta Sunofyork jr per illustrare il verso del Padre Nostro che dice "Sia fatta la tua volontà". I due spilungoni un po' bruttini sarebbero i miei genitori, i due biondi bassini saremmo io e Paperoga. Ora, posto che pagherei per avere ancora un punto vita quando invece l'avvicinarsi di questo sesto mese mi ha regalato un discreto cocomero sulla pancia, unico punto in cui in vita mia mai avevo avuto problemi di rotondità, mi pare evidente che la pazza settenne mia omonima stia elaborando a modo suo la notizia che la sua adorata cugina maggiore avrà una bambina e che l'esito di questa riflessione sia che la volontà divina si esplichi in questo: che i più grandi abbiano dei figli, e che questi figli crescano e a loro volta procreino (e che il tutto avvenga in un profluvio di cuoricini). Resta però come un monolite, nella weltanshauung della settenne, la convinzione che i genitori restino sempre genitori e i figli sempre figli e, per quanto possano crescere e diventare degli adulti a tutti i gli effetti, comunque rimangano più bassi (e quindi più piccoli) dei loro genitori.
Ora, la mia impressione è che questa idea non sia un monolite solo nella weltanshauung dell'esagitata bambina, ma anche in quella dei miei genitori (e nei genitori di chiunque): i figli restano figli, anche se diventano genitori. Un po' cresciutelli, ma comunque mai si affrancheranno del tutto da quel ruolo.
Se ne parla qui, sull'uscita di maggio di WU Magazine, in un post combinato con quello di Chinaski77.

19.4.12

sinistri

Non so se l'avevo detto in passato, comunque circa un anno fa ero in Liguria e ho avuto un piccolo sinistro stradale. Niente di troppo grave: un tipo col macchinone non mi ha vista e mi è passato sul piede, schiacciandomi dio solo sa che cosa e regalandomi danni che permangono tutt'ora, da una caviglia più gonfia dell'altra a una ridotta mobilità e un po' di indolenzimento fino a una presupposta lesione dei legamenti. Ovviamente è partita la solita storia infinita di avvocati, assicurazioni e medici legali, che ora sta finalmente volgendo al termine. Dunque, siccome la gravidanza non bastava a procurarmi esami del sangue, visite mediche, ecografie, ravanamenti vari e una serie pressoché inestinguibile di spese, ci si è messa di mezzo pure la perizia del medico legale di parte, incaricato di relazionare sui danni arrecati alla sottoscritta. La cosa è andata più o meno così: il medico legge i referti di pronto soccorso, radiologo, specialista, ecc. Copiaincolla il tutto in un modulo preformato aggiungendo i miei dati personali. Mi misura la caviglia più gonfia con un metro da sarta e constata che oggettivamente c'è un danno. E poi inizia il bello.
Medico: "per la perizia fanno 250 euro".
Io (non ho ancora ben realizzato cosa sta succedendo): "e la perizia quand'è?"
Medico: "la perizia è questa. Non si immaginava il costo?"
Io (sinceramente sconcertata): "no, mi creda, non potevo proprio immaginarlo".
Medico: "bè, sa, noi sulla fattura ci paghiamo l'iva"
(ma va? te l'ho anche detto, sono una libera professionista anche io,  so che sulle fatture si versa l'iva, è che per una roba durata 5 minuti netti credevo non si spendesse più di 100 euro, ad essere pessimisti).
Io: (ormai ho perso ogni grazia di dio, dignità, sono nel panico più totale e non me ne frega più un cazzo di chi ho davanti, potrebbe esserci un galeotto, mandela, madre teresa di calcutta, potrebbero amputarmi la caviglia, non me ne sbatte niente, voglio solo piangere e imprecare e poi essere stroncata da un embolo) "capisco, il problema è che non ho sufficienti contanti con me, mi lasci chiamare un attimo il mio compagno".
Chiamo Paperoga -che nel frattempo si sta facendo esplodere la vescica- e scandendo ad alta voce davanti al medico gli chiedo "senti, c'hai 100 euro?"
Paperoga: "no, perché?"
Io (allibita e nevrotica): "no perché qua la perizia costa 250 euro e io con me ne ho 150"
(che diamine pensava, che me li volessi fumare insieme al medico legale?)

Comunque. Viene fuori che sotto c'è un bancomat. "Torno subito, mi scusi". Mi affretto giù per le scale, pestando i piedi come un'indemoniata, livida in volto e sacramentando come uno scaricatore di porto (l'immagine standard della donna incinta, insomma): non risparmio nessuno, i santi, l'avvocato, quello che mi ha schiacciato i legamenti. Non sono manco più una donna, a quel punto, ma un coacervo di rabbia inespressa, quando, alla girata delle scale, incrocio un condomino del palazzo dove il medico legale ha il suo esosissimo studio. Mi ricompongo, gli sorrido e gli dico "buonasera", ma è inutile: mi ha sentito gastemare da tre piani e si paralizza terrorizzato, guardandomi come si guarda qualcuno affetto da sindrome bipolare. Lo supero incurante, esco dal palazzo, vorrei schiaffeggiare Paperoga se non fosse che vedo che anche lui è terrorizzato e mi freno, vado al bancomat e prelevo i fottuti 100 euro che mi mancavano. Premetto che altri 150 ne avevo prelevati prima di andare dal medico, e avevo avuto dal bancomat 5 banconote da 20 euro e 5 da 10. La faccio breve: il bancomat mi dà altre 10 banconote da 10 euro. Non so se ridere o piangere, quindi appallottolo ben bene i soldi e li schiaffo a forza nel portafogli come la nevrotica che sono, ritorno dal medico, provo a contarli ma il nervoso per quelle 250 piccole ingiustizie da un euro subite, mi fa tremare le mani, quindi glieli allungo sulla scrivania: è un malloppone enorme di banconote manco fossi un benzinaio, ma me ne fotto.
"Dottoressa, se li conti lei che è meglio".
Lei conta, son giusti.

Torno giù come una furia e trovo un Paperoga sempre più preoccupato per la mia salute mentale. In macchina non riesco a non pensare che con quei soldi, altroché sdraietta per the baby ci compravamo. Gli compravamo un seggiolone stokke coi controcazzi, e invece cazzi e basta.
Poi penso che comunque è un lavoro anche quello del medico che mi ha visitata, è il suo lavoro e io devo rispettarlo, e magari non è che ogni giorno in 5 minuti si fotta 250 euro. Magari siamo simili, due liberi professionisti che devono versare l'iva e fare fattura per il loro onesto lavoro. Mi aggrappo a questo pensiero, ho bisogno di crederci.
Prendo in mano la fattura. E' la numero 120. Mi faccio due conti, io sono più o meno alla 15 da inizio 2012, e non è che le mie abbiano un importo esorbitante. No, direi proprio che non siamo simili.
Ma a quel punto ormai sia io che Paperoga siamo in preda a una risata isterica al pensiero di me che lancio i soldi appallottolati sulla scrivania del medico e poi fuggo, e la risata dura più o meno da Reggio a Bologna, e passa tutto.
(e soprattutto l'assicurazione rimborsa anche la fattura del medico legale, sennò col cacchio che passava tutto).

12.4.12

1+1=3, Wu Magazine - Aprile 2012

Posted by SunOfYork |

Di questi primi quattro mesi di gravidanza, non c'è molto da dire. Sono felice, nonostante lo spritz, il sushi e il pastis mi manchino enormemente, nonostante il sonno perenne mi renda impossibile avere una vita sociale degna di questo nome o anche solo vedermi un film completo con il futuro papà, nonostante la pancia stia facendo la timida impedendomi di godere dei sacri diritti di ogni gestante: il benedetto posto sull'autobus ed essere venerata stile Venere di Willendorf, nonostante l'odore di amuchina aleggi in questa casa grazie alle smanie anti-toxoplasmosmi di Paperoga, nonostante piuttosto che comprare gli orridi vestiti premaman, preferirei indossare un sacco di  juta con buchi per braccia e gambe, nonostante la voglia di prendere a calci quelli che dicono che le donne incinta "hanno una luce diversa" e quelli che si improvvisano ostetrici/ginecologi/puericultori dispensando consigli illuminanti del tipo "dormi ora ché dopo non dormirai" (ma veramente?) e aneddoti cruenti sui loro parti, nonostante gli sbalzi di umore mi rendano più simile a una psicolabile che alla visione aureolata che normalmente si ha delle donne incinta.
Tutto questo dal giorno in cui, come racconto qui, sull'uscita di aprile di Wu Magazine, abbiamo scorto la fatidica doppia lineetta sul test clearblue, e io ho scoperto il magico mondo dei forum femminili.

Una delle fonti di gioia date dal vivere con un dipendente pubblico è senza dubbio la presenza, nelle nostre vite, di un buono pasto giornaliero di importo talmente elevato da renderne impossibile l'utilizzo in una solitaria pausa pranzo.
Il suddetto buono pasto, raccolto in amabili pacchetti da dieci e rigorosamente amministrato dalla sottoscritta (che al momento in cui scrive, ne tiene sotto chiave almeno quattro pacchetti), è diventato in questi mesi una sorta di passepartout per esosissime spese da Naturasì e altri supermercati succhiasangue, composte da prodotti fichissimi e inutilissimi che in effetti non ci riempivano la pancia.
Preda della mania del risparmio, l'espropriato dai buoni pasti ha deciso che si sarebbe occupato lui stesso della spesa settimanale, regalando a questa relazione una svolta salutista decisamente inquietante, il cui massimo momento di brio per il palato va ricercato nelle tristissime chips di crusca.
E se pensate che sono incinta, e fosse per me in questo momento mi nutrirei di ovetti kinder, involtini primavera, fragole e gelato al pistacchio, capirete che bel dramma.

Se ne parla qui, sull'uscita marzolina di Wu Magazine.

27.2.12

À rebours

Posted by SunOfYork |

In un tempo neanche tanto lontano, l'amico K. e io ci divertivamo a giocare alla reductio ad unum, procedendo a ritroso in una sorta di ricerca aristotelica delle cause prime delle nostre sofferenze di quel periodo. Dapprima decretammo responsabili delle nostre sciagure sentimentali, alcuni incontri sbagliati fatti negli ultimi anni di vita, poi andammo oltre. Il problema era stato nascere. Poi ci spingemmo ancora un po' più in là: il guaio stava nel Big Bang. Non andammo avanti, questo bastò a soddisfare la nostra ricerca eziologica e a dirci quanto questa attività fosse stata fine a se stessa.
Nelle ultime settimane, a distanza di qualche annetto che però sembra un secolo e per motivi totalmente diversi se non opposti, mi son trovata a rifare lo stesso giochetto della storia a "bivi" datando l'inizio di tutto al 2006 e non più al Big Bang.  E quindi.
E se io e l'amico K. non avessimo preso quel treno da Bari per andare a sentire quel concerto dei Sigur Ros in piazza a Ferrara, e se grazie ai disservizi di Trenitalia (che per una volta ringrazio) non fossimo rimasti bloccati un pomeriggio in una Bologna estiva e deserta in attesa di un treno che ci riportasse a casa, e se di questa Bologna infuocata non mi fossi innamorata in tre ore e a settembre mi fossi trasferita a Milano così come avevo accuratamente pianificato per i sei mesi precedenti, e se questo innamoramento non mi avesse spinto a ribaltare i miei piani e scegliere Bologna come città in cui iniziare la mia vita adulta. E se io e l'amico K. non ci fossimo mollati non appena giunti insieme a Bologna. E se dopo l'amico K. non avessi avuto un'altra relazione altrettanto terminata.
E se non avessi avuto questo blog.
E se non avessi incontrato un uomo esattamente uguale a quello su cui fantasticavo da ragazzina e non mi fossi innamorata del suo sguardo. E se non avessi preso la testardaggine di mia madre e la fede in ciò che sarà di mio padre. E se non avessi avuto amici con cui consigliarmi o semplicemente sfogarmi e poi tornare a crederci di nuovo.
E se non avessimo più voluto far fronte ai se, ai ma e alle innumerevoli battute d'arresto e dietrofront o se invece di sceglierci avessimo scelto altro, alternative pure allettanti che ci avrebbero aperto scenari diversi, magari belli ma sicuramente divergenti.
E se tutto questo non fosse successo, e se io ancora pensassi, come qualche anno fa, che il nesso causa-effetto abbia un qualche senso che non sia la mera illusione che gli eventi della vita non siano una sequela irrelata di fatti, direi che è tutta questa serie di concause che mi ha portata oggi ad aspettare un bambino, e ad aspettarlo con l'uomo che dal primo momento avevo voluto come compagno e padre dei miei figli.
(e ad essere felice. ma questo lo diciamo sottovoce)

Ma voi avete presente gli uomini quando si inventano delle occupazioni domestiche per non rendere troppo palese il fatto che non hanno assolutamente voglia di fare nulla, e spacciano quelle inezie che hanno deciso di fare per compiti di massimo rilievo manco si trattasse di salvare il mondo da una pestilenza, tipo, nel bel mezzo delle pulizie di primavera, "tesoro tu continua pure a ribaltare l'armadio, io intanto vado a buttare la plastica nel bidone sotto casa" e poi il bidone si fa magicamente lontano 20 km e lui se ne torna quando tu hai già finito tutto e sei stramazzata sul letto?
Ecco, questa è solo uno dei tragicomici atteggiamenti maschili che si è provato a stigmatizzare bonariamente, qui, sull'uscita di febbraio di WU Magazine, in una lettera che non è proprio scritta a macchina, ma che comunque prende il titolo da questo piccolo capolavoro.

Camminavo l'altro giorno per le vie di questo  quartiere che da qualche settimana a questa parte si fregia di avermi tra i suoi residenti e avevo bei pensieri per la testa, tipo che è una gran fortuna essere degli stranieri perché si può andare in una piscina nuova e abbattere il tabù come le donne nordiche che se ne fregano dei peli alle gambe, o che è ben strano che non abbiano ancora eretto una mio busto tipo quello di Manuela Arcuri a Porto Cesareo, e che mi vedrei bene rappresentata sotto forma di sirena e posta al centro di una delle tante rotonde in questa zona, o che camminare per queste larghe strade coi platani spogli sui bordi e le file di case tutte uguali alla mia, basse con le facciate pietra vista e gli enormi finestroni, non è poi dissimile dal passeggiare nella suburbia londinese di Islington o Acton o anche Bayswater, una volta quartieri popolari, oggi residenziali.
E però sono a Bologna, nell'estrema periferia sud di Bologna, sufficientemente vicina a Murri da sentirmene rassicurata ma non tanto da sentirmi fighetta, abbastanza vicina alle due torri perché basti saltare su un autobus per venti minuti per raggiungerle ma lontana anni luce dal caos brulicante della zona T, e per assurdo, per la prima volta dopo sei anni di vita a Bologna, mi sembra di abitare a Bologna. Non più nella bohème parigina di via Broccaindosso con la sua umanità variopinta e la sua Babele di accenti che tutto erano, fuorché bolognesi.
Qui, in questo rassicurante quartiere borghese per famiglie autoctone, con ogni servizio sotto casa e la sagoma di San Luca che si staglia sui colli, in questo condominio dal giardino sempre curato e dalle scale in cotto eternamente profumate di ragù, in questo palazzo di matusa che ti osservano da dietro lo spioncino come fossi un'alieno, che hanno delle regole persino sul font dell'etichetta coi cognomi da mettere sul campanello e che si mantengono in vita imponendoci di pagare uno sproposito di riscaldamento centralizzato, in questo posto in cui non ci sono più i portici nè l'ombra della lanterna sulla Garisenda ma che risuona di z e s dolci, io scopro di vivere a Bologna e di non voler andare da nessun'altra parte.

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