Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Oggi vi svelerò un fatto fondamentale, ossia di cosa mi occupo nella mia inutile vita: la mia professione è collezionare bloggers.
Cari miei, io in un modo o nell'altro vi conosco tutti (e qui scatta un tripudio danzante sulle parole "che culo") - anzi, per l'esattezza, fino ad oggi vi conoscevo tutti TRANNE UNO.
individuo x : "ce l'hai bombay?"
sunofyork: "celo"
indivuo x: "ce l'hai l'ossimorosa?"
sunofyork: "celo"
individuo x "c'hai pure randomante?!?!"
sunofyork: "diamine se celo. è stata dura ma celo"
individuo x: "e FLY?"
sunofyork: "azz".

Bene, oggi 24/3/2007 vi scrivo con la gioia di chi ha completato l'album delle figurine dopo mesi e mesi di tribolazioni. Badate bene, non come quelli sfigati che, pagando profumatamente, si facevano spedire per posta dalla Panini la figurina mancate (che - come è giusto - è sempre quella del più figo), bensì come quello strenuo temporeggiatore che giorno dopo giorno va dall'edicolante di fiducia con una monetina in tasca e la speranza nel cuore, e trepidante come una vergine, strappa la bustina e prega San Gennaro di non dover fare un mutuo per completare l'album.
Io, ad esempio, aspettai nove mesi per avere una benedetta figurina di Dylan di Beverly Hills 90210, quella in cui indossa un paio di RayBan e alza il sopracciglio come a dire "io so' figo". La mia compagna di banco, invece, se la fece spedire. Certo che così non vale - mi venne un'ulcera perforata che manco il Frejus - però poi vuoi mettere la soddisfazione: non solo anche io ebbi Dylan McKay, ma per vendicarmi le strappai pure la sua amatissima figurina.
E così oggi, a distanza di quasi 15 anni, quando ormai Steve e Brandon saranno diventati concime per il terreno, Donna una fallita la cui unica causa di successo risiede nel cognome "Spelling" e Andrea un'illustre sconosciuta con problemi di alcolismo, riporto la medesima vittoria con in più il retrogusto frizzantino della sorpresa: di solito vi immagino tutti come degli harry potter nostrani, occhialuti, brufolosi e un po' alienati - forse il mio cervello strampalato tende a pensare che se uno sta dietro uno schermo, un motivo ci deve pure essere, che so io - e invece salta fuori che da un accoppiamento tra maschi e femmine di bloggers potrebbe venire fuori la tanto agognata razza alpha di cui vagheggiavo tempo fa in un altro post sull'eugenetica. Più volte ho pensato a quella dei bloggers come ad una comunità: una cittadella rinascimentale delle lettere (raramente, in verità), una famiglia (un po' più spesso), un girone dantesco (ancora più di frequente), ma MAI - e al posto di mai io fossi in voi leggerei piuttosto "ogni giorno della mia vita" - avrei pensato che quella dei bloggers potesse essere una comunità entro cui trovare giovani maschi papabili.
E invece mi sbagliavo: con i bloggers - e in genere con internet - le frontiere dell'accoppiamento su cui piazzare le proprie bandierine si sono allargate a dismisura.
Certo, nel caso dei bloggers, dalle donne dovrebbero prendere l'intelligenza, dagli uomini l'avvenenza: non si risparmino a questo scopo ammucchiate selvagge e legami incestuosi.
Voi per me siete un po' come il cast di Beverly Hills 90210 e un po' come quello di Beautiful - in una prospettiva distorta e molto molto perversa, in cui io sono sia Brooke che Brenda.
E alla fine rimango zitella.
Sì, alla fine però, perchè ora c'ho pure io il mio blogger che non solo è bello e intelligente, ma dei miei post ama moltissimo la spontaneità.

Tra le teorie critiche sui Malavoglia di Verga una delle più affascinanti è quella sull' ideale dell'ostrica, espressione con cui si suole esprimere l'attaccamento del popolo al luogo delle proprie origini, alla propria casa: chiunque deroghi da questo principio, come il giovane 'Ntoni, perde la propria identità, corrompendosi irrimediabilmente, perchè il mondo - il pesce vorace - non risparmia nessuno.
Non c'è nulla di romantico in ciò, Verga non indugia in sentimentalismi, negando a protagonisti e lettori la tazza del consolo: corollario dell'ideale dell'ostrica è una sostanziale fissità dello status sociale. Se nasci povero disgraziato, è inutile che cerchi fortuna altrove. Meglio che ti accontenti di quello che hai, del ruvido affetto della tua famiglia e delle due lire che riesci a guadagnare a fine mese, tanto ogni tentativo di migliorare la tua condizione sociale è destinato a fallire. Ovviamente queste cose il caro vecchio Verga le diceva a cuor leggero: non era mica il suo destino ad essere legato al trasporto di un carico di lupini su di una bagneruola destinata al naufragio.
Ora, io sono ben lontana dall'affermare che "volere è potere"/"quisque faber suae fortunae"- diciamo pure che il determinismo ha fatto il suo corso e che ritengo fermamente che il raggiungimento di un qualsivoglia obiettivo sia sempre subordinato al realizzarsi di un enorme numero di variabili la maggior parte delle quali legate più al caso che all'effettivo impegno di ciascuno. Diciamo anche che ammetto anche io che vi sia qualcosa al di sopra della mia comprensione a determinare la mia sorte - e d'altra parte quella che Verga chiama Provvidenza io la chiamo botta di culo, quella che lui chiama naufragio della P., io la chiamo sfiga nera; alla fine è solo una questione di nomi.
Certo però che la casa, la famiglia, i lupini, il duro lavoro. Che vita di merda: che la chiami sfiga o Provvidenza il succo non cambia.
Stat rosa pristina nomen. Nomina pura tenemus.

14.3.07

Intercity 559 Bologna-Bari

Posted by SunOfYork |

carrozza 2
posti 25-30

Individuo n.1: manager rampante sui 35-40, accento milanese. Il suo ipertecnologico cellulare trilla e lui sobbalza. Poi scatta fuori e inizia a fare su e giù per il corridoio. Ridacchia nervosamente, parla sottovoce, no dai non è il caso di parlarne adesso, ehehe, sì sì che ti penso, ma no, non sono freddo, sono in treno –bisbiglia- non posso parlare, ti chiamo dopo eh, ciao ciao ciao.
E subito mi è tutto chiaro: a chiamarlo non è colei che gli ha infilato la fede al dito. A confermarmelo è il suo sorriso colpevole mentre si va a sedere al suo posto.
Non lo biasimo. Il colletto che spunta dalla giacca gessata mi dice che la giovane moglie non ha ancora imparato a stirargli le camicie. Ben le sta.

Individuo n. 2: anziano ex ferroviere con cappotto color cammello e cappello burberry.
Manco si siede e già ci informa del fatto che i suoi tre figli sono tutti laureati e che suo nipote di vent’anni, oltre a studiare al conservatorio, frequenta la facoltà di medicina presso la Cattolica di Roma. Inutile ogni tentativo di elencare titoli di studio, passioni artistiche o opere di bene compiute nel passato. La sua famiglia è “di più”.
Tre minuti di questa competizione spietata e inizio a schiumare dalla bocca in preda alle convulsioni.
Dovrei farmi visitare dal nipote, che, ovviamente, sarà anche un esperto esorcista.

Individui n. 3 e 4: giovane madre divorziata con figlio pestifero di circa 5 anni a carico. Nell’arco di un tragitto relativamente breve, il nano illetterato riesce ad appiccicarmi una big babol al portatile, macchiare di cioccolato la cravatta del manager, pestare i calli dell’anziano - che non manca di sottolineare che “suo nipote era un bambino tranquillo”, lanciando alla madre un’occhiata che vuol chiaramente significare “S-E-I U-N’-I-N-E-T-T-A”.
Mi duole ammetterlo ma in questo caso concordo col vegliardo.
Guardo questa madre distrutta tentare di rimproverare Attila senza riuscire a farsi ascoltare – una scrollata di spalle e poi demorde e dice “Leo io ti amo, tu sei il mio unico dio, ricordati che devi fare sempre e solo quello che vuoi TU nella vita”.
Sull’onda di questo alto monito di moralità, il mio pensiero vola a colei che si piglierà sto bell’imbusto quando, ormai trentenne, lascerà le mutande e i calzini sporchi in giro per la casa, perché lui deve fare solo ciò che gli va di fare, così ha detto la mamma.
Mi chiedo allora se questa donna potrà mai competere con una madre così ingombrante. Ad occhio e croce ne dubito. Alla fortunata tutta la mia comprensione.

Individuo n. 5: ebreo 80enne di nome Cyril, lunga barba bianca, anglofono. Uno di quelle facce che ti fanno desiderare di aver sempre dietro una macchina fotografica per immortalare le sue rughe.
Mi parla delle tradizioni, della lingua e delle festività ebraiche, di cosa significhi essere un ebreo al giorno d’oggi, di famiglie che si riuniscono attorno al tavolo per lo Shabbat e del valore che ha per lui la Torah, del suo rapporto con i goyim.
Io lo ascolto e tutt’un tratto mi ritrovo a chiedermi come sia possibile che le parole di uno sconosciuto signore incontrato in un treno stiano facendo vacillare il mio ostinato ateismo.

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