Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Una volta ero a casa di un tipo che all'epoca mi piaceva abbastanza: mi ero fatta la doccia, la ceretta, la manicure, sistemata i capelli, messa un vestito fintamente semplice che in realtà mi era costato un capitale, scolata una boccetta intera di rescue remedy, ed ero giunta sorridente e un po' narcotizzata a casa sua. Lui aveva fatto il suo: aveva apparecchiato (+1 punto), cucinato da dio (+10 punti) e stappato una bottiglia di vino (+100 punti) -a suo dire- pregiatissimo -a mio dire- assolutamente inferiore a qualsiasi vino rosso meridionale. Figo era figo oltre misura (+1000 punti) e per giunta dotato di eloquio piacevole. Alla fine della cena, mi chiese se avessi voglia di vedere un film, e là già, cari miei, la sottoscritta prese a fare 2+2 (film, buio, vicinanza sul divano) e a gongolare, immaginate la scena quando mi propose di vedere un film horror: una roba che gli occhi iniziarono a rotearmi tipo slot machine per poi fermarsi quando entrambi erano due cuoricini rosso fuoco. Nella mia testa, quella tra film horror (il film, per l'appunto era "Non aprite quella porta"), una giovane fanciulla in fiore terrorizzata, che sul divano sussurra con un filo di voce dammi la mano ti prego ho paura, l'istinto di protezione del maschio italiano, la discreta quantità di alcol, e una copula infuocata e di lunga durata, era un'equazione certa.
Quello, invece, voleva proprio vedersi il film, era regredito all'età infantile e mi terrorizzava facendo "bu" negli attimi di silenzio, strizzandomi il braccio nei momenti clou e non faceva che accrescere il mio terrore con frasi ipnotiche tipo "non immagini ora che succede", "mamma mia guarda che bello, quanto sangue", faceva tutto, insomma, fuorché tentare un approccio. Ma insomma, il punto è un altro: lui non ci provava, e io mi misi a pensare al mio atteggiamento di fronte alle mie paure partendo dall'assunto che i ragazzi del film, tutto sommato si meritano ciò che capita loro. Perché, dico io, se uno vi dice "non aprite quella porta", ma perché diavolo dovete aprirla per forza? Ma che siamo matti? Se vi si dà un consiglio, magari un motivo c'è, forse non immaginate quali orrori si nascondano lì dietro, però capite che qualcosa di strano ci dev'essere, sennò cosa pensate che sia, una battuta "Non aprite quella porta"? Che dietro ci sia un clown col fiore che spruzza l'acqua? No, perché se lo pensate, allora siete dei deficienti e chi se ne frega se vi appendono a un gancio. Se invece lo fate per sprezzo del pericolo, allora siete deficienti uguale e vale quanto detto prima.
Io, ad esempio, sono una persona estremamente paurosa e pessimista. Non trovo gli orecchini di perla? Li ha rubati un ladro che proprio nel momento in cui li cerco nel portagioie è alle mie spalle pronto ad accopparmi con un cric. Mi gira la testa? E' un ictus ed è questione di istanti prima che tutto diventi nero. Vengono ad avvertirci che c'è una lieve fuga di gas nel palazzo e che dobbiamo scendere in strada? La salvezza è impossibile: nel vicolo si aprirà una faglia di sant'andreas, le fragili fondamenta seicentesche di casa si accartocceranno su se stesse e inghiottiranno tutti noi illusi che pensavamo di rifugiarci in strada. Sto dormendo e sento degli scricchiolii? Sicuramente è un serial killer che calpesta il parquet del soggiorno e tra qualche attimo varcherà con un coltellaccio da macellaio la soglia della mia stanza.
A tutto ciò come reagisco? Non reagisco. Non faccio assolutamente niente. Cioè, la teoria è più o meno questa: c'è una fuga di gas? se non c'è possibilità di salvezza (nella mia testa la salvezza è una possibilità inesistente), preferisco farmi brillare con la mia casa, che non abbandonerei per nulla al mondo come il capitano di una nave. Sei un ladro, vuoi i miei orecchini di perle o il mio portatile? E chi sono io per intralciarti? Mi allontano dal portagioie senza guardarmi indietro e mi chiudo in camera così puoi far per bene razzia, non ti guardo nemmeno in faccia così i carabinieri non mi possono chiedere di fare un identikit e tu sei tranquillo, e magari mi risparmi anche la parte della colluttazione in cui va a finire che mi ammazzi.
Sei un serial killer, sei venuto qui per spedirmi dritta al creatore? Va bene, fa' come vuoi, però non rompermi le palle, io dal letto non mi alzo, figuriamoci se apro la porta giusto per fare la gag della fanciulla che vede in faccia la morte e lancia un urlo stridulo che squarcia la notte. E poi faccio un piacere anche a te, caro il mio serial killer, ché magari se mi vedi in piedi di notte col mascara colato fino al mento e i capelli dritti in testa, ti spaventi pure e poi la notte dopo dormi male, quindi meglio se non faccio niente.
Per qualcuno è pura e semplice pigrizia, per me è astuzia.
E infatti, tutti i serial killer e i ladri d'appartamento che negli anni sono entrati in casa mia, (la teoria che il legno scricchioli da solo di notte non mi ha mai convinta) non mi hanno mai nemmeno sfiorata, un po' perché non mi hanno vista, mimetizzata com'ero sotto il piumone, un po' perché hanno evidentemente riconosciuto e apprezzato la mia cortesia nel non aprire quella porta per non intralciare il loro lavoro.

Poi, finito il flusso di pensieri, era finito anche il film. E allora l'ho tentato io l'approccio, ché non si è mica pigre da queste parti.
Per fortuna lui non era particolarmente pauroso.

Bob Brezsny, brutto stronzo di un astrologo crudele che hai fatto penare noi del Cancro per un intero semestre con oroscopi che oscillavano in maniera shopenaueriana tra il dolore e la noia, oggi ti dico: che Dio ti benedica! Stamattina, in una pausa tra la traduzione di un testo privo di alcuno spessore culturale (come dice sempre mio padre, è rincuorante sapere che, pur nella assoluta diversità, tutti i libri che traduco siano accomunati da qualcosa, da un labile eppur onnipresente fil rouge, dato per l'appunto dalla totale assenza di spessore culturale) e la ricerca compulsiva di immagini che ritraessero Louis Garrel nudo, ho letto religiosamente l'0roscopo di Internazionale di questa settimana, sia quello del mio segno, sia quello dei segni delle persone da cui dipende la piega che prenderà questa mia esistenza (efferatissima serial killer o serena quasi-trentenne dalle fulgide aspirazioni), e finalmente pare che tutto ritorni all'uno.
Chi c'ha messo un po' a capire delle cose, le capirà, chi aveva fretta che qualcuno capisse delle cose, imparerà a godersi il tragitto senza guardare sempre la fottuta meta, quelli del segno dell'amico K., di mio padre e del mio adorato commercialista Rollone, inizieranno a godersi la vita, la Debs, il fascinoso scrittore e la mia amata sorella minore smetteranno finalmente di fare i timidi e metteranno in risalto le loro qualità, i miei occhi di cancerina testimonieranno un'esplosione di grazia, probabilmente quella di chi sboccerà davanti ai miei occhi e mi lascerà a bocca aperta.
E qui, a proposito di cose che sbocciano davanti ai miei occhi, è partita tutta un serie di collegamenti razionali solo nel mondo di piccole follie quotidiane della sottoscritta, ma che mi hanno portata a concludere che Brezsny deve avere ragione perché tutt'a un tratto apro Youtube e tra i video consigliati c'è Un'altra vita di Paolo Conte, da cui la citazione del titolo di questo post, il poeta della nostra casa editrice è saltato fuori con una splendida poesia che parla di una piantina, e soprattutto, contravvenenedo alla legge non scritta che mi vuole la Charles Manson delle piantine, il basilico che avevo seminato poche settimane fa, sta venendo su bene, e, visto il mio pollice nero, non può che trattarsi di un'epifania, di un simbolico correlativo oggettivo di qualcosa che mi deve far sperare per il futuro, di un segno, proprio il segno che cercavo e non trovavo e poi ho smesso di cercare ed eccolo lì.
Pertanto io lo riempio ogni giorno di cure e piccole attenzioni come fosse un'edicola sacra di Barivecchia, e lui mi ricambia sprigionando dal davanzale un profumo di cose genuine miste a felicità, infatti, come vedete, la coccinella sorride mentre di solito si vuole suicidare.
E insomma, mentre si scopre che è bello credere in qualcosa, è l'otto luglio e tutto va bene.

Nessuno si azzardi a dire niente sul fatto che ho sul tavolo su cui lavoro, accanto alle pagine da tradurre, tre bottiglie di vino e una tazza da latte, o me ne fotto di Brezsny e gli lacero la giugulare a morsi.

Ci sono donne, come quella sulla copertina di Wu Magazine, che magari problemi a prendersi un uomo non li hanno mai avuti nè li avranno mai.
Poi ci sono quelle che, invece, devono sudare sette camicie e sbatterci cento volte la testa da brave kamikaze per raggiungere lo stesso obiettivo della strafiga in foto (che poi, perché mai le modelle hanno sempre quell'aria corrucciata?).
Chi se ne frega. È nella resistenza strenua, nell'eroismo della lotta, che si rintraccia la gioia del vessillo. Poi se nel frattempo ti ritrovi con un paio di esaurimenti nervosi in attivo, pazienza.
Se ne parla qui, su Wu Magazine di Luglio, e prima o poi state certi che metteranno anche la sottoscritta in copertina
(quando il giornale da un formato A4 sarà passato a un B0)

Non farò resoconti, ché questo non è stato un anno leggero neanche un po', e qualche rughetta attorno agli occhi me l'ha regalata, e poi per natura non mi piace guardarmi indietro.
Non farò nemmeno progetti, ché se qualcosa quest'anno mi ha insegnato, è a non essere presbite (e comunque per quelle orride montature da anzianotta c'è sempre tempo).
Dirò dell'oggi, invece, ché sono finalmente serena come non capitava da troppo, e vado in giro fischiettando In the neighborhood, e sorrido alle telefonate, ai messaggi su facebook, agli sms, ai baci e abbracci, e mi dico che da dov'ero un mesetto fa, si può solo risalire, in un modo o nell'altro. E quindi sorrido ancora, com'è giusto che sia.

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