Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Io, una cosa, sottraendo tempo vitale a un lavoro di traduzione mal pagato, precario, perennemente in affanno, e per giunta in scadenza domani, la devo dire.
Circa un anno fa ho aperto una casa editrice con mia sorella, qui non ne parlo spesso perché vorrei che questo fosse uno spazio franco dalle questioni editoriali che, per quanto appassionanti, per me sono nè più nè meno che un lavoro, come per qualcun'altro potrà esserlo il fare l'idraulico o l'insegnante, e in primis perché odio farmi pubblicità (questo è sbagliato, già lo so, ma è così).
Quando l'ho aperta, insieme al pizzico di follia necessaria, avevo la profonda consapevolezza che non c'avrei campato, che sarebbe stato, per un bel po' di anni, un (bellissimo) doppio lavoro in cui investire tutta la passione che avevo per questo settore coinvolgendo persone fidate che so perfettamente condividere la mia stessa passione e il mio stesso entusiasmo. Un anno prima che iniziasse la discussione sulla decrescita  felice nell'editoria, che tanta eco ha avuto negli ultimi giorni su blog e terze pagine, sapevo che avremmo pubblicato pochissimo e che avremmo venduto ancora meno, che di lavoro letterario barra intellettuale ce ne sarebbe stato, ma che ci sarebbero state anche tante fatture, f24, bolle di trasporto, file in posta, scatoloni da spedire. Sapevo bene che sarebbe stata non dura, di più, però mi sembrava una forma di resistenza abbastanza eroica e ne avevamo bisogno, in quel momento. Ero talmente consapevole di quanto poco c'avrei guadagnato (o, in momenti di pessimismo cosmico, di quanto c'avrei rimesso), che ho pensato bene di continuare a lavorare da freelance per altri editori, e di farmi venire il panico ogni volta che, a una scadenza per gli altri editori, si combinavano incombenze legate alla mia casa editrice, ma sono sopravvissuta.
Conoscevo anche perfettamente l'enorme scoglio della distribuzione, ci ho impattato duramente prima di iniziare a pubblicare e vi giuro che, tra chi chiedeva a un editore neonato un giro d'affari da centomila euro (certo, centomila euro son proprio una cifra che un microeditore è in grado di movimentare in un anno) e chi neanche ci ha considerate (comprensibile, visto il numero di editori sul mercato italiano), è stata una vittoria trovare un distributore nazionale specifico per la piccola e media editoria che ci abbia accolte con entusiasmo (sì, ok, lo sconto che pretendeva era pazzesco, ma prendere o lasciare, e noi abbiam preso).
Insomma,  ho considerato tutto. Ho letto tutto, ho studiato, ho preso contatti, mi sono documentata, ho fatto esperienza presso altri, mi sono lanciata quasi convinta di prendere una legnata nei denti.
E invece i libri, per tutta una serie di motivi che non sto qui a dire perché non mi piace cantarmela e suonarmela, sono andati bene, i resoconti bimestrali del distributore sono sempre una bella sorpresa.
Il dato paradossale, però, è che nessuna delle fatture spedite al mio distributore ci è mai stata pagata, le fatture son lì insolute da mesi e mesi, e le innumerevoli telefonate e mail, sono sempre state rimbalzate con scuse imbarazzanti. L'ultima, dopo averli avvertiti che sarebbe arrivata la messa in mora da parte dell'avvocato, è stata che il responsabile dell'amministrazione, proprio mentre ci stava facendo il bonifico, si è sentito male ed è in ospedale.
Allora, io qui devo scagliare il mio j'accuse. Non servirà a niente, ma almeno evito mi venga un'ulcera.
Senza quei soldi noi non andiamo avanti, perché investire ancora denaro, a questo punto, significa solo rischiare di più, non possiamo permettercelo e comunque non avrebbe senso. Potremmo iniziare a non pagare i nostri collaboratori, ma è un'idea che ci fa schifo perché l'abbiamo subita noi per prime da parte di altri, e non abbiamo intenzione di replicare questa stortura tutta italiana - e peculiare dell'editoria - per cui, se ti concedo di lavorare con me, ti faccio quasi un favore e i soldi vengono dopo, ammesso che vengano.
Il lavoro è lavoro, e va pagato, e guai a chi si azzarda a lavorare gratis, ché fa un danno non solo a se stesso, ma a tutti quelli che lavorano in quel settore, e al settore stesso, che piano piano perde qualità e smalto. Che qualità si può, infatti, garantire, a un committente che non paga e ti obbliga a sobbarcarti altri mille lavoretti per sbarcare il lunario?
Io, per prima, ho giurato da tempo che non metterò più giù una riga senza che mi sia pagata. Va bene anche poco e a millemila giorni dalla fatturazione. Essere pagati dignitosamente sarebbe meglio, ma ci vuole anche un pizzico di polso di quale sia la reale situazione dell'editoria italiana. Se paghi, io lavoro, e pure sodo, e sempre così ho fatto, lavorando anche la notte e nei weekend, se necessario.
E come la me freelance, pure la me editrice ha lavorato sodo. E, come me, mia sorella -il restante 50% della casa editice- e così il nostro grafico, il nostro redattore, il nostro ufficio stampa, i nostri traduttori, e, prima di tutto, i nostri autori.
Perché non dobbiamo vedere una soldo e rischiare di far fallire un progetto in cui crediamo?
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(la rettifica del giorno dopo: il distributore ha pagato, non tutte le fatture, ma almeno tutte le più vecchie. quindi da settembre si riprenderà a pieno ritmo a stampare. ciò non toglie che il discorso sopra valga ugualmente ma che almeno, oggi, tiriamo un sospiro di sollievo).

Della prima metà di quest'afosissima estate, ricorderò sicuramente i ricci scuri e i visi radiosi di due spose bellissime mentre ballano una al buio di un uliveto salentino sulle note della pizzica, e l'altra sotto il sole a picco in un parco della bassa bolognese su quelle della musica klezmer, due sposi ugualmente emozionati, la mia incredulità fanciullesca davanti a due persone che decidono fattivamente di credere al "per sempre", il discorso di nozze fatto da un bellissimo chierichetto del sindaco privato del suo ruolo sacrale di sommo vate (con tanto di giaguaro), una enorme tavolata rotonda con quelle anime belle che oggi sono  la mia famiglia bolognese, ma anche e soprattutto l'oggettiva rottura di palle di chi, in queste situazioni, si sente sempre in dovere di farti la fatidica domanda "e voi due, allora, quand'è che vi sposate?".
Se ne parla qui, sull'uscita di luglio di Wu Magazine.
Come se non bastasse l'afa di questi giorni a farti fumare le orecchie.

Ci sono donne, come quella sulla copertina di Wu Magazine, che magari problemi a prendersi un uomo non li hanno mai avuti nè li avranno mai.
Poi ci sono quelle che, invece, devono sudare sette camicie e sbatterci cento volte la testa da brave kamikaze per raggiungere lo stesso obiettivo della strafiga in foto (che poi, perché mai le modelle hanno sempre quell'aria corrucciata?).
Chi se ne frega. È nella resistenza strenua, nell'eroismo della lotta, che si rintraccia la gioia del vessillo. Poi se nel frattempo ti ritrovi con un paio di esaurimenti nervosi in attivo, pazienza.
Se ne parla qui, su Wu Magazine di Luglio, e prima o poi state certi che metteranno anche la sottoscritta in copertina
(quando il giornale da un formato A4 sarà passato a un B0)


In principio fu la fontana di Trevi tinta di rosso.
Poi vennero le palline di gomma su Trinità dei Monti.
Un paio di giorno fa, l'iniziativa di Frozen Termini, happening artistico in cui un gruppo di smandrappati ti si fermano tra i maroni per tre minuti.
Siccome sotto sotto mi sento molto transavanguardista pure io, oggi, in pieno delirio ikea, ho sincronizzato i timer del reparto cucina in modo che suonassero a distanza di pochi secondi l'uno dall'altro.
Il messaggio, visto il luogo di perdizione in cui mi trovavo, era quanto mai azzeccato: Memento Mori.
Ah, il sacro fuoco dell'Arte, ma che volete saperne voi.

Stamattina, mentre in stato semicomatoso rotolavo da un capo all'altro del letto, mi sono messa a pensare alla situazione dell'editoria italiana. E quindi:
Intervistatrice: com'è l'editoria italiana, Sunofyork?
SOY: hai presente il Diavolo veste Prada? Uffici luminosi, vetrate infinite, parquet ovunque pure nei bagni? Hai presente donne con le Manolo Blahniks d'ordinanza ai piedi che lavorano su dei Mac immacolati?
I: Sì
SOY: bene, non c'entra un cazzo.
I:e allora?
SOY: hai presente la Repubblica delle Lettere rinascimentale? quei legami impalpabili e pur saldissimi tra intellettuali di ogni razza e credo?
I: inizi seriamente a darmi sui nervi.

Ebbene, la gilde degli editori italiani è una sorta di lillipuziana repubblica delle lettere, diciamo piuttosto una sorta di paesello delle lettere, con tutti i disservizi e le invidie che nascono nei paeselli di provincia: c'è la zitella acida (l'editor), la battona che va con tutti (l'agente letterario), il filosofo naif (l'editore) e lo scemo del villaggio (lo scrittore).
Gli scrittori possono essere di vari tipi: 1. l'esordiente molto emo, 2. il sapientone che non vale un cazzo (ma i due aspetti possono formare un unicum letale) e 3. quello veramente bravo (esistono e stiamo lavorando per farli accoppiare tra loro): bisogna avere occhio per riuscire a distinguere sin da subito tra le varie categorie.
Ora prendiamo la situazione standard: in una casa editrice entra un tale visibilmente agitato, rosso in volto, coi capelli scompigliati, che perde fogli da tutte le parti e che - potete scommetterci - sicuramente nell'iPod ha una compilation di successi degli Shins. Bene, a questo punto potete iniziare a sfregare le mani sotto la scrivania perché, cari miei, avete davanti ai vostri occhi una mammoletta emo contro cui sfogare tutte le vostre frustrazioni.
Ragazzo emo: salve, sono qui perchè il mio sogno è pubblicare un libro!
SOY (suonando una trombetta): ma noooooo? ma daaaai, veramente????ma come mai?in Italia vengono pubblicati solo 50mila libri l'anno, 140 libri al giorno di cui 120 non vedranno mai una libreria, come ti viene in mente un'idea così geniale?
Ragazzo emo: vorrei proporvi questo manoscritto, si chiama "Il campo di papaveri"...parla...di un campo...di papaveri...mi piacerebbe che al libro fosse allegato...non so...è un'idea...un papavero per ogni donna che lo comprerà...
SOY: ah, e agli uomini non ci pensi?
Emo: oh già...che sbadato...pensavo a qualcosa come...
SOY: UN RASOIO DA BARBA?
Emo: uhuhu dai su...non prendermi in giro...pensavo a qualcosa di più particolare...non so, DEI GEMELLI DA POLSO...mi ci ha fatto pensare un amico molto creativo.
SOY: immagino sia la stessa mente geniale che ha inventato i ciondoli da cellulare e i preservativi alla ciliegia.

A questo punto il ragazzo emo scappa via piangendo, voi leggete il manoscritto, mettiamo il caso assurdo che decidiate di pubblicarlo (impossibile ma procediamo). APPENA glielo comunicate, da ragazzo emo si trasforma in un natural born dada.
Arriva in casa editrice sbraitando contro le modifiche, e definendo il vostro lavoro di editing HITLERIANO.
Used-to-be ragazzo emo: ma poi, cos'hai contro la "i" ogni volta che scrivo conoscienza?
SOY: (sempre suonando la trombetta): un grembiulino a quadretti bianchi e blu! E anche due orecchie d'asino, presto! Allora, caro somaro, ripetiamo insieme: SCIENZA E COSCIENZA vogliono la "i". Conoscenza, no.
Used-to-be ragazzo emo ora diventato natural born dada: sarà come dici tu ma io stavo scardinando le regole grammaticali, comunque non mi sembra il caso di cancellarmi anche tutti i punti di sospensione e le virgole - poi piagnucolando - perché, perché vuoi snaturare la mia (udite udite!) OPERA!!! Io scrivo perché ho un'urgenza di raccontare la mia complessa vita interiore, non è un gioco per me!

Lasciamo un attimo in sospeso ora il nostro used to be ragazzo emo, ossia il nostro new born dada con qualche tocco dandy alla wilde e atteggiamenti lagnosi alla Mme Bovary.
Lasciamolo morire in pace.

Ma che è sto abuso della punteggiatura?
Concediamo ai ventenni - tanto non farei mai pubblicare romanzi di gente sotto i 30 - e alla loro grave tara dell'autobiografismo l'uso spopositato dei puntini di sospensione (sapete, fanno molto "sso' tormentato lassateme perde") , che pure devono essere rigorosamente 3 e non 4 o 5 e chi più ne ha più ne metta, ma che è 'sta storia delle virgole?
Una volta Danny DeVito mi ha detto che persino studiosi di fama internazionale come Canfora hanno problemi a piazzare le virgole.
Ma allora, signori miei, io mi chiedo perché gente incapace di cavarsela persino con la punteggiatura - figurarsi con il resto - abbia questa smania di successo. E' possibile che non si capisca che il "talento" è anche e soprattutto beruf weberiano*, e che come tale non debba essere sommerso da tonnellate di carta che verrà destinata al macero?
Mi chiedo io: è così in pubblicare un libro? Non so.
Quello che so per certo è che comprare libri è out.
E' così tanto out che quasi quasi ci scrivo su un libro per spiegare quanto.


*teoria del duro lavoro ("Etica protestante e spirito del capitalismo", Max Weber)

Cari tutti, l'argomento che affronteremo oggi è quanto mai delicato in quanto solleva tutta una serie di annose questioni mai risolte come perchè il maschio ama rotolarsi nel suo stesso sudiciume?quanto è utopistico pensare che un giorno smetterà di gettare la biancheria sporca per terra e di lasciare i cassetti aperti? Com'è possibile diminuire in modo massiccio il quantitativo di entropia dell'universo? Dovrò studiare la termodinamica?, e soprattutto l'angoscioso interrogativo: perchè proprio a me?
La vexata quaestio si dipana attorno a due poli : la di lei capacità di abnegazione e la di lui inettitudine di rendere la propria dimora qualcosa di meglio di un lurido letamaio. Lo so che è difficile per voi, ma vi prego di fare uno sforzo mentale e di seguirmi: questi due poli - direttamente proporzionali nella fase dei cippicippibaubau, ossia il primo anno della relazione - diventano di botto inversamente proporzionali allo scattare del 12° mese, per cui dalla fase in cui voi (noi) fate finta di non badare al casino disumano celandovi dietro a idee balorde del tipo ma lui è un intellettuale, non può badare a queste cose, deve vivere nel suo disordine creativo per poter scrivere/dipingere/comporre, capite che sono tutte cazzate e vi state solo illudendo che lui sia un artista quando invece è un maiale nato cresciuto e pasciuto che vi sta portando via la vita. Inforcate allora una scopa gigante, vi mettete in assetto da jihad e bonificate le valli di comacchio che per l'occasione si sono trasferite nella vostra stamberga, maledicendo la di lui tenera nutrice (ricordarsi sempre di dare la colpa alle suocere, mi raccomando, o non siete vere donne) per non avergli insegnato a stare al mondo a suon di schicchere dietro le orecchie, rendendo il sangue del suo sangue un vitellone ultratrentenne che passa la giornata sbriciolando le pringles per terra mentre voi vi consolate pensando sadicamente a quando avrete un figlio maschio tale e quale al vostro amato e vostra nuora vi maledirà tra una ramazzata e l'altra, ma non saranno più fatti vostri, eh no!, perchè ormai glielo avete sbolognato quel bellimbusto del vostro figlioletto e chi s'è visto s'è visto.
Detto questo, per quanto riguarda la domanda perchè proprio a me?, consolatevi. Giunta nella stanza in foto udii proferire la frase "ho messo in ordine per te" con una tale dolcezza che quasi quasi non feci caso a nulla, ma ho comunque voluto immortalare il momento a imperitura memoria e per inviare al CICAP* una testimonianza della presenze sovrannaturali in questo luogo. Perchè non può essere stato un essere umano.

*Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale



Sarò sintetica: una breve nota per ricordare che alla fine siamo solo un branco di nerd sociopatici che cercano di riscattarsi da un'adolescenza brufolosa fatta di rifiuti e umiliazioni, che i commenti sono marchette con il solo scopo di ricevere visite di ritorno, che anche tra i bloggers esistono corporazioni e gerarchie come in ogni altro settore e che anche qui chi sta ai vertici delle classifiche non sempre - sì, mi va di usare un eufemismo - è il più meritevole, ma chi ha saputo gestire meglio le proprie PR. Che è molto comodo stare dietro a uno schermo e fare gli assi della blogosfera, che saper scrivere è tutto un altro paio di maniche, che scrivere un post su come si scrive un post è una faccenda da spocchiosetti e che quelli che si sentono blogstar (argh) e lo negano mi stanno sinceramente sulle balle.
Ho fatto la scoperta dell'acqua calda, direte voi, dello stesso argomento ne avevano parlato blog più autorevoli. Me ne frego. Cristo santo, alla fine sono solo dei blog.
Non prendiamoci troppo sul serio.

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