Va bene, va bene, lo so. Da quando ho aperto questo blog non ho fatto altro che ribadire quanto sono atea e anticlericale e compagnia bella. Però, c'è un però - il Bari , dopo otto anni, è tornato in Serie A.
Ora, lasciamo ai maschi il chiacchiericcio su Antonio Conte -l'immagine qui a fianco dovrebbe dirla lunga su cosa penso di lui- formazioni, fuorigioco (inutile che proviate a spiegarmelo, lo so benissimo cos'è: è una regola che non capirò mai), Barreto, difesa. Parole vuote.
Il calcio è una questione di fede. O ce l'hai o non ce l'hai. Tu, donna, se non ce l'hai, non cadere nella tentazione di fingere di averla per acchiappare un tifoso sfegatato: 1° dovrai fingere su molte altre cose nel vostro rapporto e -credimi- su alcune dovrai davvero applicarti; 2° può essere pure un dio greco sceso in terra per te -non lo sarà di certo, è un fatto statistico: prova a guardarti attorno in Curva Nord e poi fammi sapere- ma comunque non ne varebbe la pena; 3° il subdolo se ne accorgerebbe -è l'unica cosa su cui i maschi sono perspicaci- dal quel ticchettio nervoso del tuo piede già al 3' del primo tempo ma farebbe finta di niente, si girerebbe con un sorriso sornione verso di te e ti direbbe "tutto bene, amore? ti diverti?" e a te toccherebbe annuire, seppur con la morte nel cuore, e sorbirti tutte le partite della sua squadra, della nazionale e di chissà che altro, solo per una piccola, innocente bugia.
Nel mio caso, il calcio è solo uno dei modi in cui si esterna la mia dipendenza dalle emozioni totalizzanti. Il che, in soldoni, significa che periodicamente ho delle repentine accensioni per gli argomenti più disparati, accensioni che di solito si verbalizzano secondo la formula "X è/sono la mia vita", laddove X, negli ultimi mesi, è stato cronologicamente: l'artigianato (in occasione della fiera di Milano di dicembre, l'artigianato fu la mia vita), le serie TV con riferimenti psicanalitici (Tell me you love, In treatment, i Soprano sono la mia vita - passione ancora in auge), i La Crus (i La Crus sono e saranno la mia vita) l' Everton (traducendo il romanzo di colui che presto sarà universalmente riconosciuto come il Nick Hornby anglobarese, solo molto più cool - yes, Paul, I'm flattering - sono arrivata ad affiggere lo stemmino con le torri e la corona d'alloro vicino al mio letto) e in fine la Bari (pare si dica al femminile, non so perché), dopo che le cose sono iniziate ad andare bene e tutte le persone attorno a me sono state colte da questa smania collettiva e altamente contagiosa che alla fine mi ha condotta a usare come pigiama la maglietta di Kutuzov, sognare di fare cose irripetibili a Matarrese, farmi indottrinare sui forum del Bari con gente che a un certo punto si è rivelata minorenne e infine ad andare a seguire Piacenza-Bari in mezzo agli Ultras. Ora, probabilmente, ai più sarà impossibile comprendere come ci si possa appassionare a un argomento da 0 a 100 nel giro di un istante - vi dirò, è la stessa perplessità che dovette venire a Lawrence Olivier sul set del Maratoneta, vedendo che Dustin Hoffman si faceva due ore di corsa prima del ciak, e che il caro Lawrence espresse con la domanda assai ingenua "can't you just play?". La risposta, ovviamente, è no: certe emozioni bisogna viverle di pancia, punto e basta.
Quindi prendo questo regionale Bologna-Piacenza, accerchiata da una manica inneggiante di ultras baresi (frequenti le acclamazioni alle madri e ai parenti dei leccesi), raggiungo i miei due migliori amici - the lovely couple - calati da Milano per l'occasione in compagnia di un terzo individuo a me già tristemente noto (in realtà c'era anche la fidanzata, ma era talmente scialba che non la conto) che chiameremo, non senza un filo di malignità, Er Pistola - l'unico uomo che va in curva allo stadio vestito come se dovesse recarsi su un panfilo a Portofino: mocassini, polo blu con colletto alzato, bermuda, maglioncino annodato sulle spalle e rolex - e che ci ammorberà per tutta la durata della partita con la sua dabbenaggine, le sue ciance sulla dolce esistenza da viveur che conduce, le sue massime filosofiche generosamente elargite con un grottesco accento milanese (uè raga, ma secondo voi, io che guadagno sticazzimila euro al mese, che faccio, torno in Puglia e mi accontento di fare il direttore di banca? eh no carini!) e ci schiantiamo sulle gradinate in attesa che inizi. Ben presto, io e la mia amica ci accorgiamo di esserci piazzate proprio sotto una gigantesca bandiera con su la scritta "Diamola", che ci seguirà in tutti i nostri spostamenti e a cui sentiamo di aderire in toto. Attorno a noi sono tutti già ubriachi di Caffè Borghetti e/o fumati: il testosterone nell'aria rende me e la Vale vagamente elettriche. La curva ci sembra un paradiso.
Poi però sentiamo che quella partita non è più determinante perché il giorno prima il Livorno ha perso, e questo ha portato automaticamente in serie A la squadra per cui ho avuto una repentina passione. Da quel momento dichiaro chiusa l'era del Bari, per cui si inizia a discettare dell'opportunità di comprarsi uno smalto corallo, uno melanzana e uno bordeaux, di ricevimenti nuziali kitsch, di quanto sarebbe bello se servissero dei mojito ghiacciati, di ricette macrobiotiche e prova bikini. Almeno fino a quando, a fine partita, dopo tremila coreografie della curva, due gol da parte di entrambe le squadre, 2-3 grammi di hashish fumati passivamente, lo spettacolo della squadra del Bari che fa una specie di trenino, i giocatori si avvicinano alla curva e iniziano a spogliarsi e rimangono in mutande.
Il che chiude la stagione del calcio ma inaugura una nuova, feconda stagione: quella dei calciatori.
Ora non mi resta che trasformarmi in velina. Tutto è possibile con il Metodo Stanislavskij.
Ora, lasciamo ai maschi il chiacchiericcio su Antonio Conte -l'immagine qui a fianco dovrebbe dirla lunga su cosa penso di lui- formazioni, fuorigioco (inutile che proviate a spiegarmelo, lo so benissimo cos'è: è una regola che non capirò mai), Barreto, difesa. Parole vuote.
Il calcio è una questione di fede. O ce l'hai o non ce l'hai. Tu, donna, se non ce l'hai, non cadere nella tentazione di fingere di averla per acchiappare un tifoso sfegatato: 1° dovrai fingere su molte altre cose nel vostro rapporto e -credimi- su alcune dovrai davvero applicarti; 2° può essere pure un dio greco sceso in terra per te -non lo sarà di certo, è un fatto statistico: prova a guardarti attorno in Curva Nord e poi fammi sapere- ma comunque non ne varebbe la pena; 3° il subdolo se ne accorgerebbe -è l'unica cosa su cui i maschi sono perspicaci- dal quel ticchettio nervoso del tuo piede già al 3' del primo tempo ma farebbe finta di niente, si girerebbe con un sorriso sornione verso di te e ti direbbe "tutto bene, amore? ti diverti?" e a te toccherebbe annuire, seppur con la morte nel cuore, e sorbirti tutte le partite della sua squadra, della nazionale e di chissà che altro, solo per una piccola, innocente bugia.
Nel mio caso, il calcio è solo uno dei modi in cui si esterna la mia dipendenza dalle emozioni totalizzanti. Il che, in soldoni, significa che periodicamente ho delle repentine accensioni per gli argomenti più disparati, accensioni che di solito si verbalizzano secondo la formula "X è/sono la mia vita", laddove X, negli ultimi mesi, è stato cronologicamente: l'artigianato (in occasione della fiera di Milano di dicembre, l'artigianato fu la mia vita), le serie TV con riferimenti psicanalitici (Tell me you love, In treatment, i Soprano sono la mia vita - passione ancora in auge), i La Crus (i La Crus sono e saranno la mia vita) l' Everton (traducendo il romanzo di colui che presto sarà universalmente riconosciuto come il Nick Hornby anglobarese, solo molto più cool - yes, Paul, I'm flattering - sono arrivata ad affiggere lo stemmino con le torri e la corona d'alloro vicino al mio letto) e in fine la Bari (pare si dica al femminile, non so perché), dopo che le cose sono iniziate ad andare bene e tutte le persone attorno a me sono state colte da questa smania collettiva e altamente contagiosa che alla fine mi ha condotta a usare come pigiama la maglietta di Kutuzov, sognare di fare cose irripetibili a Matarrese, farmi indottrinare sui forum del Bari con gente che a un certo punto si è rivelata minorenne e infine ad andare a seguire Piacenza-Bari in mezzo agli Ultras. Ora, probabilmente, ai più sarà impossibile comprendere come ci si possa appassionare a un argomento da 0 a 100 nel giro di un istante - vi dirò, è la stessa perplessità che dovette venire a Lawrence Olivier sul set del Maratoneta, vedendo che Dustin Hoffman si faceva due ore di corsa prima del ciak, e che il caro Lawrence espresse con la domanda assai ingenua "can't you just play?". La risposta, ovviamente, è no: certe emozioni bisogna viverle di pancia, punto e basta.
Quindi prendo questo regionale Bologna-Piacenza, accerchiata da una manica inneggiante di ultras baresi (frequenti le acclamazioni alle madri e ai parenti dei leccesi), raggiungo i miei due migliori amici - the lovely couple - calati da Milano per l'occasione in compagnia di un terzo individuo a me già tristemente noto (in realtà c'era anche la fidanzata, ma era talmente scialba che non la conto) che chiameremo, non senza un filo di malignità, Er Pistola - l'unico uomo che va in curva allo stadio vestito come se dovesse recarsi su un panfilo a Portofino: mocassini, polo blu con colletto alzato, bermuda, maglioncino annodato sulle spalle e rolex - e che ci ammorberà per tutta la durata della partita con la sua dabbenaggine, le sue ciance sulla dolce esistenza da viveur che conduce, le sue massime filosofiche generosamente elargite con un grottesco accento milanese (uè raga, ma secondo voi, io che guadagno sticazzimila euro al mese, che faccio, torno in Puglia e mi accontento di fare il direttore di banca? eh no carini!) e ci schiantiamo sulle gradinate in attesa che inizi. Ben presto, io e la mia amica ci accorgiamo di esserci piazzate proprio sotto una gigantesca bandiera con su la scritta "Diamola", che ci seguirà in tutti i nostri spostamenti e a cui sentiamo di aderire in toto. Attorno a noi sono tutti già ubriachi di Caffè Borghetti e/o fumati: il testosterone nell'aria rende me e la Vale vagamente elettriche. La curva ci sembra un paradiso.
Poi però sentiamo che quella partita non è più determinante perché il giorno prima il Livorno ha perso, e questo ha portato automaticamente in serie A la squadra per cui ho avuto una repentina passione. Da quel momento dichiaro chiusa l'era del Bari, per cui si inizia a discettare dell'opportunità di comprarsi uno smalto corallo, uno melanzana e uno bordeaux, di ricevimenti nuziali kitsch, di quanto sarebbe bello se servissero dei mojito ghiacciati, di ricette macrobiotiche e prova bikini. Almeno fino a quando, a fine partita, dopo tremila coreografie della curva, due gol da parte di entrambe le squadre, 2-3 grammi di hashish fumati passivamente, lo spettacolo della squadra del Bari che fa una specie di trenino, i giocatori si avvicinano alla curva e iniziano a spogliarsi e rimangono in mutande.
Il che chiude la stagione del calcio ma inaugura una nuova, feconda stagione: quella dei calciatori.
Ora non mi resta che trasformarmi in velina. Tutto è possibile con il Metodo Stanislavskij.