Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Guardate quant'è bellino il virus varicella-zoster (VZV o HHV-3): in questo momento scorazza libero per il mio organismo.
In un post del 1° gennaio 2008, scritto in preda a scoramento tondelliano, riportavo l'oroscopo di Paolo Fox per il segno del Cancro.

Cancro: è meglio se fai testamento. Pover'a tte.

Cioè, io la mia dipartita l'accetterei pure di buon grado, ma la varicella, signori, d'estate e a questa età, proprio no.
Vi saluto. Io e le mie pustole ci ritiriamo nelle nostre stanze.

La domenica, per il vero barese, è indissolubilmente legata al rituale dei frutti di mare crudi: non averli sulla tavola fa di te un barese fasullo, e della domenica, una domenica fasulla, non degna di essere vissuta (eh sì). Immaginate una tavola imbandita, una decina di Peroni da tre quarti (il barese vero beve solo Peroni, raramente la Dreher, che per qualche motivo a me ignoto, viene pronunciata Dreghèr), piatti stracolmi di cozze, calamari crudi, vongole, ostriche, ricci - il barese impallidisce di sdegno al solo pensiero che in giappone li ritengano velenosi - e, se proprio è una grande giornata, i mitici taratuffi.
I taratuffi, signori miei, sono tra i mitili in assoluto più amati dai baresi, e tra i più difficili da trovare in quanto soggetti a un fermo biologico. E perché mai un fermo biologico? Difficilmente riesco a credere si tratti della volontà di salvaguardare il taratuffo, che sa di acido fenico ed è la cosa più orribile che io riesca ad immaginare - quindi per quanto mi riguarda, ben venga l'estinzione, anche rapida - quanto per evitare che il fondale marino venga ulteriormente massacrato dalla dinamite: per lunghi anni, infatti, per prendere i taratuffi, i sub hanno fatto saltare con la dinamite le rocce (perché i taratuffi hanno proprio l'aspetto di piccole rocce - anche se al tatto sono spugnosi - e vivono attaccati agli scogli), deturpando leggermente il fondale, ma questo rientra nella delicatezza innata del barese, che, alle maldive, sarebbe in grado di far saltare l'intero reef per prendere un pezzo di corallo da portare alla nonna come souvenir.
Ovviamente, se lo spettacolo di una tavolata domenicale col pater familias in maniche di camicia non desta particolare attenzione, quello che invece sconvolge è che a Bari queste tavolate si tengano sul suolo pubblico, nella fattispecie sul lungomare, dove numerose famiglie - opportunamente dotatesi di gruppi elettrogeni e braci per arrostire la carne - sono solite imbandire la tavola a ridosso dei muriccioli che separano la strada dalla spiaggia. Ci sono famiglie che hanno quest'abitudine da così tanti anni che sembrano aver acquisito per usucapione il possesso di quella parte di muretto: se per sbaglio ti ci siedi prima che loro arrivino per cenare, ti guardano male, con quello sguardo tra il vacuo e il minaccioso che tutti conosciamo grazie a Cassano.
Poi però viene fuori la vera natura del barese. Mentre fai per andartene, il pater familias ti apostrofa dalla scogliera.
"Mè signorina, andò vè? vin 'ddo, sint quant'iè fresc stu pulp, addor d' mar"*
Tira un morso in testa al polpo ancora vivo, lo sbatte due tre volte sullo scoglio per "arricciarlo" (ci proverò anche io la prossima volta che mi viene in mente di cambiare acconciatura) e te lo offre sorridente. "Statt dò cco' nnu, ca tnimm allìv e cozz p' tutt staser"**.
Ancora traumatizzata dalla storia delle ostrichette curiose di Alice nel paese delle meraviglie, rimani lì titubante. L'esitazione viene colta come voglia di non approfittare della loro generosità: "Uè Nico' - figuriamoci se il nome poteva essere un altro - , annusc pur nu poc d provolon per la signorina"*** (non si sa perché, quest'ultima cosa viene detta in italiano con una certa solennità). Alla fine accetti, con la morte nel cuore: "Grazie mille, solo un po', poi devo scappare".
Ingoi tutto insieme, tentacolo del polpo, provolone e un sorso lungo una vita di primitivo di manduria. Trattieni un conato di vomito: "grazie ancora, mai mangiato niente del genere" (almeno non menti). Poi te ne vai salutando la famigliola.
Mentre ti allontani, un urlo disumano "Oh signorì, c vuè venì n'anda vold, no ddo stamm"****.
E chi ne dubita, siete il nostro Chrysler Building.

*[Dove vai signorina, vieni qua, senti quanto è fresco questo polpo, profuma di mare]
**[Resta a cena con noi, che abbiamo cozze e calamari per tutti stasera]
***[Ehi Nicola, porta un po' di provolone per la signorina]
****[Ehi signorina, se vuoi tornare a trovarci, noi qua stiamo]


Tra i concetti in assoluto più misteriosi per un uomo, al primo posto compare senza dubbio l'importanza dell'intorno. Un'idea così elementare che la sua banalità quasi mi impedirebbe di enunciarla in modo esplicito per paura di suonare troppo scontata, se non fosse che grazie a dio non si invecchia per nulla, e io in questi anni - se c'è qualcosa che ho imparato - è proprio che l'uomo ha una innata avversione per il sottotesto di una conversazione, quindi è bene parlare chiaro, dotandosi possibilmente dell'aiuto di scritte luminescenti e gesti eccessivi.
E quindi cari miei, il romanticismo - non quello da 3msc, per carità - si trova nell'intorno più o meno immediato dell'evento romantico centrale (la cena a lume di candela, la serata trascorsa sul divano a guardare la tv, il bacio, altro).
Visualizzate un punto x su una retta. Il concetto di retta è difficile, lo so, ma provateci. Quanto viene prima e quanto viene dopo quel punto, nell'ambito di un certo raggio, bè carissimi, in quello spazio a voi oscuro, è lì che giace la definizione di romanticismo per una donna. La donna, del punto x (del punto x, sia chiaro, non di altri punti non meglio specificati) se ne sbatte allegramente. Non lo vede proprio il punto x, la donna.
Mettiamo che il punto x sia il fatidico momento del bacio dopo due o tre appuntamenti (ovviamente per due o tre, intendo uno): sbancherete il jackpot solo se il vostro comportamento in prossimità dell'evento sarà stato adeguato. E non intendo 30 secondi prima - 30 secondi dopo: tutto ciò che precede il momento topico, minuti, ore, giornate, stagioni, dev'essere all'altezza. Dalla conversazione durante la cena, alle piccole attenzioni, (dell'apertura dello sportello non ce ne frega una mazza) fino alla mano che aggiusta una ciocca di capelli cascante. Tutto. Se poi vi trovaste a desiderare a un momento x2, allora conta anche ciò che fate dopo. Una frase gentile, rimanere in macchina finché lei non riesce ad aprire la porta di casa ed entrare (non prendete impegni per il resto della serata), un sms subito dopo che vi siete salutati.
Tutti i gesti inattesi sono più che graditi.
E per gesti inattesi, intendo ovviamente tutti i gesti attesi, anzi attesissimi, che una donna fingerà di accogliere con enoooorme sorpresa.
Ma che se non li fate, rendono noi delle stronze col botto e voi dei poveretti che non vedranno mai il punto x2 (e nessun'altro punto, comunque).

Il giorno della prima di Sex and The City ho aperto gli occhi all'alba, emozionata come la mattina del 25, quando mi fiondo sotto l'albero e lacero con gli artigli i doni che Babbo Natale mi ha portato la sera prima. Ho aperto gli occhi e ho sperato che gesù bambino mi facesse vivere un'altra quindicina di ore, giusto il minimo indispensabile per togliermi la curiosità.
E' universalmente noto che la mia maggiore qualità è quella di essere un' ossessivo-compulsiva: questo mio tratto peculiare mi ha portato sin dalla tenera età ad appassionarmi a qualsiasi cosa avesse un seguito da attendere morbosamente, partendo da Topazio, passando per Cuore Selvaggio (che dio benedica la buonanima di Edoardo Palomo), fino ad arrivare a Friends, e più recentemente Sex and the city, How I met your mother e Secret diary of a call girl (non so come si chiami in italia e se esista, ad ogni modo scaricatevelo adesso).
Dunque mi sono recata un'ora prima al cinema, accompagnata da un individuo scalciante e mal disposto, e ho atteso in piedi che si aprissero le porte: attorno a me ragazze-Carrie in ghingheri, fidanzati-Aidan col broncio e uno stuolo di gay cicaleggianti di certo più abili di me con gli abbinamenti cromatici. Si ha notizia di un solo uomo adulto ed etero recatosi di propria sponte al cinema con l'intento "di capire il punto di vista femminile". Si vede che con l'età non si diventa meno naif.
Trama: succede esattamente tutto ciò che immaginate: Carrie sposa Big, Miranda rimane con Steve, Charlotte diventa una macchina sfornafigli e Samantha continua a fare la figallegra in giro. Bene, chi non l'aveva ancora visto può maledirmi ora o taccia per sempre.

Già dalle prime scene, appare chiaro che il mio odio verso la sempredisgustosamentesopralerighe Carrie è ai livelli di guardia: questa donna orrenda, perennemente mal vestita ma che per qualche strano motivo detta legge in fatto di ciò che è chic e ciò che non lo è, con le gambe storte e un naso che dovrebbero vendere a etti, riesce a snervarmi anche solo attraversando la strada. Il massimo del grottesco, comunque, lo raggiunge ficcandosi una quaglia impagliata in testa il giorno del matrimonio (cancellato), unico momento che avrebbe potuto riscattare l'intero film concedendomi la tanto sospirata shadenfreude, ma che invece si tramuta in occasione per un finale ancora più smielato e buonista.
Il film, in pratica, sostiene una tesi davvero incredibile, e cioè che si può essere felici possedendo tutto ciò che si è sempre desiderato (una vera genialata, deve averla pensata Monsieur de Lapalisse) : un marito ricchissimo e attraente, un attico a Park Avenue, un armadio con abiti griffati e centinaia di paia di scarpe con il tacco, una carriera di successo, dei figli adorabili, degli amanti giovani e compiacenti e delle amiche sempre disponibili.
E infatti Miranda, che ha un figlio capitato per sbaglio, una suocera con l'Alzheimer, un lavoro vero - che non implichi cioè starsene a casa propria senza fare un cazzo e avere un'assistente per non farlo - , che non si depila l'inguine, abita a Brooklyn (orrore orrore) ed ha un marito non esattamente affascinante che la tradisce in un momento di debolezza, per la maggior parte del tempo sembra infelice.
Poi però la crisi di Miranda e Steve passa e i due tornano insieme. Si riabbracciano sul ponte di Brooklyn e tu ti commuovi.
Tutt'a un tratto ti trovi a fantasticare di uno spin off in cui Miranda è la protagonista, e Carrie muore all'angolo tra la 52esima e Broadway investita da un taxi, dopo che la rottura di un tacco dodici di Manolo Blahnik l'ha fatta piombare in mezzo alla strada.



Da quando il mio portatile è spirato, la mia vita è un gorgo di eventi privi di senso: vago come uno zombie per la casa, con gli occhi gonfi di lacrime, pensando ai bei momenti trascorsi insieme, e a quanta parte del mio passato verrà rimossa da un nerd crudele in vena di formattarmi l'hard disk solo per punirmi dei tanti rifiuti subiti dagli esponenti del mio stesso sesso (per cui invito ogni ragazza tra i 18 e i 35 anni, a concedersi almeno una volta nella vita a un informatico nerd, perché io da sola, per quanto mi ci applichi, non ce la faccio).
Come prima cosa, ho capito che cercare di risolvere dei problemi informatici con l'assistenza telefonica Sony, è un'utopia bella e buona: tutti gli operatori sono indiani, hanno qualche problemino con l'italiano, e anche se si parla loro in inglese per agevolarli, hanno un moto anticoloniale, per cui è buona norma imparare l'hindi prima di effettuare la telefonata. In secondo luogo, una volta imparato l'hindi, la conversazione si svolge più o meno così:

Operatore: "ha spinto il pulsante di accensione?"
Sun (attonita): "sì"
Operatore: "che succede?"
Sun: "non va"
Operatore: "senta, faccia così, provi a spingere il pulsante di accensione e vedrà che parte"
Sun: "ehm no, non va"
Operatore: "sicura sicura di aver spinto il pulsante di accensione, perché io fossi in lei non ne sarei tanto convinto. Con l'altra mano intanto incroci le dita"
Sun: "la prego, sto soffrendo come un cane, mi finisca qui"
Operatore: "non demorda, spinga il pulsante di accensione, spinga, spinga, spingaa"
Sun: "la morte si sconta vivendo"
Operatore: "allora va adesso?"
[...]

Cioè l'Operatore Sony Vaio è il Prototipo del Maschio: insensibile ai drammi di una donna, incapace di comprendere quando non è il caso di fare dell'ironia e di ammettere un fallimento, di nessun aiuto nei momenti di crisi. Un vero uomo, insomma.
Se qualcuno cerca un fidanzato, consiglio caldamente il call center Sony.
And they lived together unhappily ever after.

Come da titolo.

Avrei voluto scrivere un post su Sex and the city - The Movie, ma dal pc altrui non è lo stesso.
Somma tristezza.

Ospitare il proprio uomo a casa impone doverose accortezze.
Innanzitutto l'evento va festeggiato con un cambio di lenzuola: non solo è un rito propiziatorio a cui sarebbe folle sottrarsi (anzi, consiglio caldamente di infilare un corno sotto ciascun cuscino), ma vorrete evitare la faccia inorridita di lui quando, ritornato a trovarvi dopo un mese, si trovasse a notare lo stesso paio di lenzuola della volta precedente (sono una lercia, lo so).
Secondo. La casa va resa a prova di uomo: questo significa pulirla da cima a fondo e disporre ogni cosa secondo un ordine razionale e facilmente memorizzabile - possibilmente etichettando il tutto- per minimizzare gli sprechi di spazio. Purtroppo da quando il mutuo è diventato il nuovo modo di far ricadere le colpe dei padri sui figli, le case si sono ristrette. Solo con un rigore da istitutrice tedesca, il caos maschile non andrà a innestarsi sul pregresso disordine e si eviterà quell'effetto buco nero con conseguente risucchio dei propri effetti personali, che manco l'Lhc del CERN.
Corollario del secondo punto: organizzare i propri vestiti in modo da lasciare almeno un paio di scaffali liberi, altrimenti si sentirà autorizzato a spargere la propria roba sul parquet.
Terzo: spesa ragionata. Vale a dire, quattro salti in padela, sughi pronti e ogni tipo di surgelati, perché è ovvio che a cucinare sarete voi.
Quarto: cura della persona. Impacchi per i capelli, maschera per il viso, scrub per il corpo, manicure, pedicure, ceretta (un buon motivo per restare single).
A questo punto lui dovrebbe essere quasi dietro la porta: i soliti riti apotropaici del trucco, rossetto, profumo, un'altra mazzata di piastra per dare lucentezza al capello, un completo intimo da far invidia a Deeta Von Teese e sopra solo un grembiule da brava cuoca porno. Ricordatevi, l'obiettivo è fargli pensare che siate sempre così, splendide senza sforzo.
La sola idea vi irrita lo so, perché vi siete fate il mazzo per non sembrare dei relitti umani, ma ai maschi piace così. Via la rabbia, via i pensieri negativi. Respirate. Sorridete. Visualizzate la vostra energia vitale come una bolla opalescente.
Se non funziona, due cicchetti di rhum e passa la paura.

Driiiiin
Vi schiarite la voce. Suadenti. La vostra voce è un soffio: Sìììììììì?
Dall'altra parte: Lettura contatore.

Vi farete trovare accasciate sul divano, il cibo bruciato, il mascara che cola, e il vostro orrido pigiama a quadri. Il cadavere del tecnico dell'Hera riverso in una pozza di sangue.

Shadenfreude è la parola tedesca che indica la gioia (freude) che si prova dall'osservare le sciagure (shaden) altrui.

Io ho una pseudoamica, che chiamerò amica V., che è la mia spina del fianco dalle elementari. Mia madre ha una pseudoamica, che chiamerò amica A., che è la mamma di amica V., e che è la spina nel fianco di mia madre da quando io facevo le elementari.
Lasciando da parte il politically correct, io sostengo che ci siano persone e persone. Ora, modestia a parte, io sono sempre riuscita meglio in tutto: non solo alle elementari ero più brava dell'amica V. (con le tabelline facevo invidia a Rain man), ma in seguito, quando le nostre strade si sono separate, ho sempre avuto più successo di lei.
Il tutto - lo giuro - senza che mai nè io, nè mia madre, ci vantassimo mai di nulla anzi. Se prendevo 9 in greco, non solo mia madre non lo diceva a nessuno, ma se l'amica A., dopo aver vantato le doti di genio della figlia, le chiedeva come procedesse la mia carriera scolastica, mia madre - che ha sempre adottato la strategia dello Sminuimento all'infinito - rispondeva con un lapidario "se la cava", magari poi aggiungendo uno sproloquio di due ore su quanto io fossi indolente, intollerante o vagamente misantropa.
Ovviamente però le notizia volano, e per anni l'amica V. ha convissuto con il mio successo scolastico, vantandosi di cose che io magari non facevo, tipo cantare nel Coro della Chiesa, diventare l'istruttrice del Coro della Chiesa, diventare LA ROCKSTAR del Coro della Chiesa e così via.
Inoltre la cara amica V. si è presa le sue piccole rivincite, facendomi pesare ogni singolo rallentamento accademico e piccolo insuccesso sentimentale, facendomi telefonate per sapere "come mai non mi fossi laureata alla sessione di marzo", e ribadendomi,invece, quanto veloce fosse stata lei nel terminare i suoi studi universitari (facoltà diverse, grazie a dio).
Anche la sua cara mamma, spesso, si prendeva la briga di informarsi con finto buonismo, del mio essere (o non essere) fidanzata, non risparmiandosi battutine sulla mia presunta intrattabilità e la mia futura zitellaggine.
La diletta figliola era felicemente fidanzata da ormai dieci anni.
Qualche mese fa, ricordo ancora la loro faccia che cantava vittoria, vennero ad annunciarci la notizia dell'immimente matrimonio di amica V.
Amica V. voleva mettere su famiglia, ormai sai, cara Sunofyork, abbiamo l'età per pensare alle cose serie, non si può mica scrivere il blog tutto il tempo, bisogna trovare l'uomo giusto, certo che per te non sarà facile...
E la madre, amica A., in controcanto, vabbè ma lei ha puntato su altro, non le dispiacerà passare il resto della sua vita da sola.
Sinceramente mi sentii un po' una fallita.

Oggi mia madre mi ha telefonato dicendomi che Amica V. non si sposa più.
Il perfetto fidanzato l'ha mollata a un paio di mesi dal matrimonio, e sta già con un'altra ragazza che (pare) abbia già fatto conoscere alla famiglia. Amica V. è caduta in depressione.
Al telefono, con mia madre, mi sono dispiaciuta così tanto che mi sono messa a piangere. Alla fine è la spina nel mio fianco dalle elementari.
Quasi quasi vorrei chiamarla e offrirle un coltello da infilarmi tra le scapole.


Ogni volta che penso a Iggy Pop e Robert Smith, mi viene in mente che la prima regola per una rockstar di fama mondiale è saper valutare con attenzione le sostanze da cui vuoi dipendere. Alla fine non è una scelta facile: puoi decidere di richiare l'infarto con cocaina e anfetamine, l'overdose con l'eroina, psicosi irreversibili con LSD, e quello-che-è-successo-a-robert-smith con la birra.
Ora io devo ammettere che, essendo andata a concerti sia di Iggy Pop che dei Cure, mi sento di dare un cinque sonoro a Iggy. Qualche annetto fa mi trovai ad assistere ad un suo concerto gratuito a Melpignano (per gli sfortunati non pugliesi che si trovassero a leggermi, uno sputo di paese della provincia di Lecce): tutti pensammo che Iggy, vent'anni prima, avesse fatto un fioretto del tipo "quest'ultima spada e se non muoio giuro sulla madonna che prima o poi SUONERO' GRATIS A MELPIGNANO" (ovviamente era certo di morire, ma si sa come vanno le cose poraccio). Comunque, a dispetto dei 60 anni suonati, e nonostante ormai la sua pelle sia stagionata a sufficienza per farmici una borsetta, per circa due ore corse e si dimenò sul palco, roba che se mi fossi agitata io così, sarei schiattata in due minuti. Quindi tanto di cappello a Iggy per aver scelto le droghe giuste.
Tristemente diverso è il caso di Robert Smith. Fat Bob, come lo chiamano gli amici, ha una vera dipendenza da birra e alcolici: questo suo essere prono a dipendenze ad alto tasso calorico si riverbera, come è immaginabile, sulla sua immagine e sulla sua presenza scenica, che ormai ha pressoché la consistenza dello Yorkshire pudding.
Insomma, Robert Smith segue una teoria basata sull'assunto (folle) secondo cui, con un po' di rossetto rosso sbavato sui denti, fondotinta bianco-fantasma-di-canterville e capelli cotonati, nessuno noterà la panza strabordante e il doppio mento. E invece no, Robert caro, se sull'acuto di Disintegration mi stramazzi per terra per il desiderio di una strong ale, forse dovresti capire che hai scelto la droga sbagliata. E costringi me, che pure sono stata una fan accanita dei Cure, a enuclearti la regola numero due della brava rockstar: se il tuo culo diventa una barca, ritirati dalle scene. E invece queste dannate band non se ne fanno una ragione. Prendiamo la carriera musicale dei Cure: su quasi una trentina di dischi incisi, 5 sono grandissimi, il resto sono i Cure che replicano se stessi male. Canzoni del tutto prive di sofferenza, di emozione, di pathos, di ispirazione. Ma si sa, col tempo le cose cambiamo. Il vuoto interiore che una volta attanagliava Robert Smith, è oggi un vuoto molto meno esistenziale, e basta qualche pie e una ventina di pinte a colmarlo. Come dire, This is a lie è diventata This is a pie. One hundred years, one hundred beers.

17.5.08

0 matrimoni e un funerale (il mio)

Posted by SunOfYork |

"marry me!"
Never saw him again
www.smithmag.net/sixwords

Sì sì va bene ve lo consento, mammolette appassite che non siete altro, i bambini biondini in foto sono carini piccini tenerini con tanti cuoricini sulle i .
Io però non mi voglio sposare.
Nelle mie fantasie di bambina (quelle di due anni fa, per intenderci), mi immaginavo sempre seduta dietro una scrivania di cristallo a risolvere faccende di rilevanza mondiale (tipo chattare con i fighi di meetic o scrivere questo blog). Al massimo del mio romanticismo, mi sono vista sempre nello stesso luogo, però, ehm, sulla scrivania, impegnata, doppio ehm, in altro tipo di attività. Dalla qual cosa ho dedotto che evidentemente ho poca fantasia sugli scenari, e che non so cosa farci se sono una donna low cost, esatto, sono come Ryanair, no thrills, ma sono funzionale, e chi mi ama mi segua: insieme può darsi che andremo lontano (a Canicattì), se il motore non ci molla. Forse.
Insomma, nella mia palla magica non ho mai visto niente che includesse confetti, pizzi, bomboniere, veli, una giarrettiera blu, il colore bianco e una lunga passeggiate lungo una navata centrale di una chiesa al braccio del mi babbo.

Perché dico questo. Sono tornata per un simpatico weekend a casa dei miei, ossia quella che un tempo fu la casa dei miei e ora è la casa dei miei, dei miei nonni, dei miei zii, dei miei cugini, e di tutto quell'universo roboante e folle che è questa famiglia, che un bel giorno ha deciso di abbandonare le proprie case e fondare una comune sessantottina, dandomi materiale sufficiente per almeno 3-4 romanzi dello spessore dei Buddenbrook (e mai libro fu più azzeccato) e anni e anni di felice dipendenza da Xanax. Ovviamente appena arrivata, mi è venuta una febbre da cavallo - dopo 3 influenze dal 1° gennaio 2008, una bronchite asmatica e vari altri guai, mi serviva proprio per affrontare meglio la prova costume. Ora una bella intossicazione alimentare e siamo a posto.
Comunque in pieno delirio da febbre, ho espresso il desiderio di ritornare, in un futuro non imminente, a vivere a Bari, e di andare a convivere in una casa di famiglia.
Mio padre, entusiasta, ha iniziato a progettare il lavoro di restauro delle volte della casa, illustrandomi quali siano i legni migliori per il parquet e le modalità di posa - perché secondo lui me lo poserò io con le mie mani - e arrivando ad andare in pellegrinaggio all'ikea per aggiornarsi sulle nuove tendenze in fatto di case piccole e intricate come cubi di Rubik: devo ammettere che a parte il fatto che per un po' ho avuto il tremendo sospetto che lo stessero facendo per il timore che, tornata a bari, volessi riprendere possesso della mia camera in una casa che ora come ora è sovraffollata, tutto è filato liscio.
Senonché il cortocircuito è stato innescato proprio dalla enorme popolosità di questa casa. Mentre io spiravo nel mio letto e già mi apprestavo a regalarvi una nuova sindone, l'idea della convivenza dev'essere serpeggiata tra i vari piani, a mo' di gioco del telefono senza fili, distorcendosi di bocca in bocca. Il che ha portato oggi al mio capezzale una giovane zia urlante "auguri auguri ho saputo CHE TI SPOSI". Immaginatevi la mia faccia, un altro po' e svenivo dalla sorpresa. Comunque, nonostante la febbre incessante e le tonsille purulente, ho deciso di fare la mia rettifica, pertanto ho richiamato tutta la famiglia in modo che ogni singolo componente uscisse dal proprio appartamento nella tromba delle scale, mi sono sporta dal pianerottolo della mansarda dove attualmente sono confinata, e in tutto il mio splendore -pigiama a righe, ciabatte, cleenex e capelli sconvolti inclusi- ho esordito con tono fermo da Palazzo Venezia:
"carissimi, io non ho intenzione di sposarmi".
coro dei parenti: "ooooooooh"
"ve ne sarà dato annuncio a tempo debito, per ora si è trattato solo di un tragico malinteso".
Poi: "in realtà vorrei convivere".
Nessuno sente l'ultima frase. La mia longeva nonna, detta anche Highlander, 300 piani più sotto: "ecc, u sapev, am'a fa u scandal ind o' paes a tutt cost" [ecco, lo sapevo, doveva a tutti i costi creare scandalo nel paese].

Anni e anni di millantata sordità.
Avessi parlato prima di convivenza, ci saremmo risparmiati i soldi dell'Amplifon.

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