Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Avrei voluto scrivere tanto.
Ma poi la verità è che questi anni si riassumono con poco: un grande amore, un grande errore, tante pagine lette, luoghi visti, tetti rossi, progetti realizzati, lotte perdute, foto scattate, parole ascoltate, persone incontrate perdute mai partite ritrovate riperdute, due nascite, molti sorrisi, troppi treni, troppe lacrime, troppi tasti pigiati, baci e carezze che quelli, invece, non son mai troppi, un'assenza grande e una speranza che mi sussurra all'orecchio che ne vale la pena.

One by one, they were all becoming shades
J.Joyce

Cari, è il 23 dicembre, ho 27 anni e ho molta paura.
Paura non del domani, ma di domani. Paura non che, per l'abituale giro in centro del 24 in cui si ritrovano ogni anno persone che non vedi da secoli, i miei capelli possano non essere setosi e la mia pelle vellutata come sarebbe opportuno in queste situazioni. Non che possa non trovare l'abito adatto a urlare al mondo che sono una gnocca con la testa, come prima più di prima. Paura non di non riuscire a trovare le parole per raccontarmi a volti sempre uguali la mia vita dell'ultimo anno.
La mia paura più grande, relativa al 24 dicembre e in particolare al cenone della Vigilia, è mia nonna, che prima ci stordisce con quintalate di pesce e ettolitri di pessimo vino (quello buono lo tiene sotto chiave per le serate in solitaria), poi, quando tranne lei -vista la sua tenuta all'alcol non me ne stupisco- tutti gli altri barcollano, ti infila La Domanda, che suona più o meno così: "mè, e stu cazz d zzit allor 'u tin o no? megghj c t'u trov mò, che sì tost comm nu cazz d'cavall" (giunonica nipote, dimmi dunque, esiste un uomo sulla terra che abbia l'onore di averti come fidanzata? perché sarebbe il caso che te ne trovassi uno al più presto, prima che le tue carni, ora sode, si sfaldino sotto il peso degli anni), seguita a ruota da domande sulla situazione lavorativa/economica/medica, insomma, tutte quelle cose su cui durante l'anno sei colpevolmente carente ti vengono sbattute in faccia nel giro di 5 minuti, tra gli spaghetti alle vongole e un pezzo di baccalà fritto.
Unico modo per dare un taglio allo strazio, è far degenerare la discussione dal piano medico al quello dei decessi. Chiedere a mia nonna di aggiornarti sulle dipartite di conoscenti lontani, vicini di casa e compaesani le regala, oltre che l'occasione di dimostrare la sua incredibile memoria per i soprannomi irripetibili e per i legami di parentela, il sottile piacere di ribadire la sua natura di highlander, quando, attorno a lei, tutti gli altri cadono come birilli.

(tranquilli, a fine mese la smetto di scrivere come una dannata, è che ho deciso che questo blog deve avere una crescita lenta ma costante pertanto per il 2009 devo arrivare a 42 post in un anno, uno in più del 2008 e due in più del 2007)

Bene, amici, volevo dirvi che sto ovulando.
Sono una donna e sto ovulando, e cerco di tamponare la frustrazione di vedere l'ennesimo preziosissimo ovulo sprecato, trasformandomi nell'Angelo del focolare, faccenda che si esplica principalmente in tre modi:
-organizzazione pseudorazionale dei beni (maglioni suddivisi per nuance attenendomi rigorosamente ai colori pantone, libri suddivisi per formato, genere, simpatia dell'editore e abbinamento cromatico delle costine, biancheria intima in tre cassetti - da nonna/da battaglia/da gran serata);
-acquisto da buona allocca di articoli a prezzi maggiorati dai mercatini natalizi (prodotti di gastronomia valtellinese, miele biologico, vini emiliani, salsine in minuscoli vasetti colorati e stronzatine così);
-preparazione di ricette lunghissime e complessissime.

Soffermiamoci sull'ultima. Sapete già che la mia idea di inferno è una cucina dopo che ci ha messo mano un uomo, e sapete anche che spesso preparo delle vere e proprie leccornie ma che altri (amico K. parlo di te) se ne prendono il merito e/o mi sminuiscono. Dunque, ispirata da un pranzo domenicale in un agriturismo piacentino, ho deciso di trascorrere questo giorno di festa, non facendo l'albero di Natale (è già attivo da un mesetto, ormai) bensì fronteggiando la sfida ultima per ogni cuoco - e soprattutto per la sottoscritta, che cuoca non è ed è pure una terrona doc- ossia il brasato. Cioè, ragazzi, una roba micidiale che solo a dirla già mi tremavano le ginocchia.
E dunque vi dò la ricetta.
Aspettate di essere in ovulazione in modo da non aver problemi ad allungare il portafogli al macellaio che vi rifila un pezzo di manzo a peso d'oro. Poi recatevi allo scaffale dei vini e guardate il Barolo. Ditegli ciao ciao con la manina e dirigetevi sicure verso un più economico Nebbiolo. Arrivate a casa marinate per 12 ore la vostra carne nel vino a cui avrete aggiunto cipolle, carote, sedano e rosmarino. La mattina dopo non fatevi prendere dalla fretta di vedere il vostro capolavoro realizzato -sì, lo so che è una noia seguire per bene le ricette e che abbiamo fantasia sufficiente a rielaborarle, però in alcuni casi è meglio fare come farebbe un uomo, e cioè attenersi alla lettera senza prendere iniziative- quindi evitate di fare pensieri del tipo ma se lo tagliassi a pezzetti* si cucinerebbe prima e non dovrei farlo andare sul gas per due ore, e soprattutto, ricordatevi, se tagliate la carne a tocchetti e la fate cuocere per due ore mentre vi fate belle per gli ospiti (non dimenticate di farlo, soprattutto se se lo meritano), rischiate di servire dei blocchetti di marmo di carrara, che per quanto coreografici e utili in caso si volesse scolpire un David, risultano un po' indigesti. Comunque, infarinate la carne, soffriggetela nel burro e poi aggiungete la marinatura. Fate bollire a fuoco lento (brasare) e infine togliete la carne dalla pentola, passate col passaverdure la marinatura, aggiustatela di sale e di pepe e servite il tutto con del cemento a presa rapida, ops, scusate, polenta.
E, come direbbe l'impavido chef Guerrino, a Dio piacendo, alla prossima!
(solo che, dopo un piatto così, dubito ci sarà una prossima)
(però giuro, le orecchiette le so fare davvero)

*P.S.per Marianna: il vento li raccoglierebbe

“Ever tried. Ever failed. No matter. Try Again. Fail again. Fail better.” (S.B.)

Immaginate di essere da sempre dei lettori compulsivi e di volervi lanciare nel progetto kamikaze di aprire una casa editrice. Immaginate di emergere ogni tanto dal gorgo della burocrazia per vagliare le possibilità di pubblicazione all'interno di un panorama letterario sterminato e non sempre validissimo.
Immaginate di avere in mente uno scrittore piuttosto famoso a cui vorreste affidare una prefazione (no non è Samuel Beckett, ancora non sono da elettroshock ma ci stiamo quasi) e che siano settimane che ve lo state lavorando via mail per avere un appuntamento e bypassare il suo aggressivissimo agente.
Immaginate tutto questo, poi immaginate di salire su un treno scalcagnato e trovarvelo proprio di fronte.

Ecco, immaginato ciò, godetevi pure la magistrale interpretazione di Sunofyork ne I dialoghi dell'assurdo (feat. Trenitalia)

Sun (1.entusiasta come una bambina): ciao X, sono Sun, ci siamo scritti l'ultima mail ieri pomeriggio, non posso crederci, che fortunata coincidenza! Lasciami dire che i tuoi libri mi fanno impazzire e che è una gioia poterti stringere la mano di persona!
Scrittore (2.imbarazzato): ciao Sun, piacere di conoscerti.
Sun (3.parlantina-a-motore inserita e sempre più entusiasta): allora X, visto che abbiamo un bel po' di tempo per parlare (4.sospiro di gioia da parte dello Scrittore), ti spiego un po'il mio progetto...bè dunque, vedi, bla bla bla, ma siccome so che tu bla bla bla e non vorrei bla bla bla pertanto bla bla bla, e quindi pensavo che magari ti potrei affidare solo una prefazione al nostro secondo libro, che sono sicura ti piacerà un sacco, perché è brillante e fresco e bla bla bla e non posso pensare a nessuno più adatto di te a scrivere una nota introduttiva...

Passa nel frattempo il controllore, che si avvicina a me e allo Scrittore famoso per chiedere il biglietto, lo Scrittore risponde giustamente con un ferreo "abbonamento" senza esibire il titolo di viaggio, al che il controllore storce un po' il naso suscitando le ire della sottoscritta che inizia la filippica del ma sai chi è lui? è uno SCRIT-TO-RE FA-MO-SO, e Trenitalia dovrebbe essere O-NO-RA-TA di trasportare cotanta penna in giro per l'Emilia e non dubitare della sua buona fede - a questo punto lo Scrittore esibisce l'abbonamento- ecco, visto, ma cosa crede che siamo tutti una manica di incivili che bla bla bla. Il controllore esce di scena.
(5.lo Scrittore è stranamente taciturno ma dal sorriso si vede che è compiaciuto del suo futuro editore per la strenua difesa operata nei suoi confronti contro gretto controllore)


Sun (6.fiume in piena): pensa, si potrebbe fare una presentazione itinerante in una carrozza e bla bla e mio padre bla bla bla e poi bla bla e ancora bla bla e bla, ma non voglio stordirti di parole (7.nooo) ma penso che uno che ha scritto "Spatatrac" e "Supercalifragili" meriti azioni di marketing forti e innovative...
Scrittore (8. si schernisce intimidito): ma no, dai, ora non dire così...
Sun (9.commossa dall'understatement dello Scrittore): su, ora non essere modesto, tu sei pubblicato da bla bla bla e anche bla bla, e per me sarebbe un onore avere qualcosa di tuo, anche solo una prefazione bla bla
Lo Scrittore Illuminato (10. sorridendo benevolo davanti a tanto entusiasmo): certo, però solo una prefazione, sai, ho già tanto da scrivere...oh, ma ecco la mia fermata.

E' anche la mia, scendo, gli stringo la mano, mi dirigo saltellando dove mi dovevo dirigere e lì comunico l'impresa. Passano le ore, arriva la sera, si dorme. Durante la notte mi metto a pensare all'accaduto. La mattina consulto Google Images come se fosse l'oracolo di Delfi.

Sostituite i numeretti 1-3-6-7-9 con "boccalona"
e i numeretti 2-4-5-8-10 con "paraculo"
e tirate voi le somme.

Avete presente quando avevo intitolato il post sulle borse, "Il definitivo post aliena maschio?". Mi sbagliavo. I maschi me li alieno adesso (cioè, in realtà sono ventisette anni che non faccio altro, ma ora diamo la mazzata finale).
Scopo di questo post, infatti, oltre a mostrarvi la mia commovente perizia con photoshop, è spiegarvi come dovrebbe essere il calcio secondo me. Ora, a me il calcio non dispiace, anzi, insieme a nuoto, cartoni animati e documentari di National Geographic è una delle poche cose che riescono a tenermi imbambolata sul divano senza che mi impegni in quelle attività compulsive come tamburellare con le dita, mordicchiare cuscini e battere nervosamente il piedino per terra, che molti trovano insopportabili (al contrario l'ascolto dei racconti delle vacanze e dei sogni altrui, dei riassunti di libri e film, la visione di sci e ciclismo amplificano queste nevrosi). E dunque, ciò che manca davvero al calcio perché io possa diventare una fan scatenata -dello sport, non di una squadra in particolare, non mi importa la competizione, ricordatevi che è solo un gioco- è la qualità estetica.
Tralasciamo lo stadio, perché è contro la mia religione recarmi in un posto in cui paghi per entrare e non ti danno da bere uno spritz o un gin tonic, prendiamo il caso in cui tu te ne stai beatamente sul tuo divano sintonizzata sul sito che dà la partita in streaming, con un alcolico in mano, del cibo nell'altra e le gambe allungate su uno sgabello.
Cos'è che non va, ancora? E quali migliorie mi frullano per la testa mentre mi vedete lì a occhi sgranati davanti allo schermo?
- il campo: non sarebbe meraviglioso se al posto del dischetto centrale ci fosse davvero un cuoricino rosso, se le reti fossero color argento sbrillucicante e così anche le linee, e se il campo fosse delimitato anziché da quegli orridi cartelloni pubblicitari da delle siepi di bossi, ligustri o acanti? E magari un ruscelletto con dei ponticelli di legno al posto della pista per l'atletica?
- le divise: ok, probabilmente quel tessuto tecnico dall'aspetto sintetico è quanto di meglio la tecnologia è stata in grado di inventare per far traspirare la pelle dei calciatori, ma di giocare a torso nudo e slip non se ne parla proprio, vero?
- i tempi: ne farei 4 da 20' l'uno (noi donne dobbiamo spesso recarci in bagno perché abbiamo la vescica piccola), inframmezzando il terzo e il quarto tempo con una pausa per il tè da venti minuti in cui i ragazzi fanno merenda con tortine alla carota e kamut e tè bancha servito in porcellane ming.
- gli arbitri: eliminiamoli, oppure vestiamoli con delle divise non catarifrangenti (che ne so, una polo piquet pastello e short sabbia o blu è chiedere troppo?) e sostituiamo l'orrido fischietto-offendi-timpani con un campanellino di Thun amplificato o un organetto a manovella di quelli che sembrano dei carillon che suoni la Vie en rose o quello che vi pare, ma fate qualcosa per questa gente. Hanno un ruolo troppo punitivo: diamo loro un cartellino fuxia per sottolineare azioni particolarmente spettacolari, lasciamo che anche loro facciano la parte dei buoni di tanto in tanto.
- i modi, cazzo, i modi!: a questo proposito, pensavo, non sarebbe bello per tutti sostituire i gesti bruschi, le gomitate, gli sgambetti, i calci negli stinchi, gli sputi, con una ragionevolissima base di danza classica? Cioè, ma voi immaginate che bello se Cassano dovesse correre en dedans, se i gol segnati mentre si eseguiva un port de bras o un arabesque valessero doppio, e triplo quelli segnati mentre ci si dilettava in un fouettè? E se alla fine ci si abbracciasse tutti -vincitori e vinti- in un grande girotondo? E se fosse vietato coprirsi gli attributi con le mani mentre si fa barriera e si lasciasse tirare il rigore a una fidanzata livorosa?

Insomma, se li vorranno pure guadagnare tutti quei soldi 'sti giocatori!
(ve lo meritate, dannati rovina-sabati)

Amico K., che pesi quanto pesavo io in quinta elementare ma solo perché già mi ero messa a dieta allora,
che mai avrei pensato che un fuscello così sarebbe diventato una colonna portante della mia vita,
che al nostro primo appuntamento alla Feltrinelli vecchia, ti sei presentato in short bianchi, t-shirt, calzini di spugna e scarpe da tennis manco fossi Pete Sampras,
che quando ti guardo, mi prenderei a sberle da sola per non essere riuscita a far funzionare le cose,
che quando attacchi con le tue paranoie, riesci sempre a farmi benedire il signore per non essere riuscita a far funzionare le cose,
che mi hai insegnato che non sempre tutto è perduto, e che dall'amore si può passare ad altro, e che quest' "altro" non sempre è peggio, ma di certo è diverso,
che ogni volta che mi vedi, mi chiedi se ti voglio bene e se ti posso dare un abbraccio, e io ti mando a quel paese e ti dico che sei una mammoletta e che non troverai una donna,
che ti lasci prendere in braccio da me davanti ai tuoi amici e ti abbarbichi come se fossi un koala su un eucalipto,
che ti addormenti in qualsiasi posizione nel giro di 15 secondi,
che ogni volta che sento Tonight, tonight, non posso fare a meno di correre con la mente a quella sera,
che quando vivevamo qua a Bologna, la mattina ti alzavi in punta di piedi per prendere il treno per Milano senza svegliarmi,
che sei il profeta della filosofia "lamentous" e che i tuoi aforismi ci lasciano sempre basiti (devo ricordare uno dei nostri dialoghi? "K. la speranza è l'ultima a morire" - "sì, Sun, ma a volte morire è l'ultima speranza"),
che per tanto tempo mi sono detta che non avrei trovato mai più qualcuno di cui innamorarmi così,
che come riesci a esasperarmi tu anche solo in una telefonata, nessuno, e che fai il vocino flebile ma continui a ronzarmi nelle orecchie fino a quando non mi prendi per sfinimento,
che ti chiamano al telefono la notte di san lorenzo e ti chiedono cosa stai facendo, e tu rispondi "corro da solo nel buio", e il bello è che è vero,
che sei talmente tanto una macchietta, che non ho potuto non creare il personaggio dell'amico K. su questo blog e su facebook il "Parla con Krapp",
che sei e sarai la mia famiglia, e saprai sempre tutto per primo,
che mi fai conoscere ogni giorno un gruppo nuovo che conosci solo tu, e vai a un concerto diverso ogni sera, e ti smazzi mezza Italia per sentire per la trentesima volta Manuel Agnelli anche se il giorno dopo devi andare al lavoro (e non credere che qualcuno ci creda al fatto che hai intenzione di fermarti, benedetto navigante con l'acqua alla gola),
che volevamo andare alle valli di Comacchio ma non siamo mai riusciti a trovarle, e allora ci siamo accontentati di attraversare un fiume e comprare un cocomero,
che non hai ancora trovato l'amore come meriteresti, il che mi fa pensare che forse noi donne non siamo poi così furbe,
Amico K. per i tuoi 30 anni vorrei potertelo trovare io l'amore, ma sai che sono pasticciona già per le mie faccende, figuriamoci per le tue, e allora ci faccio un post.
Incrociamo le dita e speriamo funzioni come inserzione.

Che poi, io, quando vi parlai dell'Afflitta (qui e qui), mica ci pensavo che avrebbe potuto spiccare il volo e lasciarci con un palmo di naso. E invece sì, il personaggio più letterario di questo blog, la nostra Madama Butterfly, dopo infiniti pianti, scontri, discussioni, patemi e ritorsioni, ha deciso -con enorme sollievo mio e di D., la fortunata coinquilina munita di fidanzato perfetto- di lasciare l'appartamento di via Broccaindosso, e per farlo ha adottato uno stratagemma che per ingegno è paragonabile solo ai tranelli del multiforme Ulisse, il che non solo è sorprendente in sè, ma è tanto più sconvolgente se si considera che un simile gesto è stato partorito da un organismo ectoplasmatico che ha trascorso l'ultimo anno raggomitolato su una sedia con addosso una vestaglia rosa di Hello Kitty.
Ora, per capire la scaltrezza dell'ameba, dovete sapere che, come molte case dei centri storici che per via dei diversi rimaneggiamenti si trovano ad avere delle planimetrie escheriane, anche la nostra casa si snoda attraverso cunicoli stretti e bassi (frequenti i traumi cranici per quanti sono più alti di 1.77), scalette, archi, controsoffitti, cantine che sembrano segrete medievali, finestrelle nascoste e anditi. Ma l'elemento che caratterizza davvero questa casa è il suo essere articolata attorno alla scala del palazzo in quanto derivante dall'unione di due appartamenti. Due appartamenti significa anche due entrate e una di queste entrate, per l'appunto, rappresentava l'accesso privato alla camera dell'Afflitta. Che quindi ha pensato bene di fare il trasloco nottetempo, mentre di qui, in soggiorno, io e la D. ci ammazzavamo dal ridere su battute del tipo "Oh ma ci pensi se l'Afflitta fa il trasloco di notte e ci lascia con un palmo di naso?".
E così ha fatto. Non avendola vista spuntare dalla sua stanza per 72 ore -fino a 48 nulla di strano, avvezza com'era a questo comportamento letargico- impaurite (visti i precedenti) e tenendoci la mano, io e D. siamo andate a bussare alla sua porta ma senza ottenere un cenno di vita. Dunque, considerata la mia natura da cuor di leone, l'istinto è stato quello di dichiarare l'ora del decesso, girare i tacchi, e andarmene per la mia strada. Ma la partenopea D., facendomi violenza, mi ha spintonato contro la porta usandomi come ariete e siamo ruzzolate dentro la stanza dell'Afflitta.
Stanza che si è rivelata così vuota che per un attimo ho temuto di essermi inventata il personaggio dell'Afflitta in un momento di crisi verso il blog ma poi, effettivamente, mi sono resa conto che nemmeno la mia fantasia può tanto.
Telo di plastica sul materasso, armadi svuotati, ogni traccia del passaggio di un essere umano, cancellato. Idem per i quattrocento euro che l'Afflitta ci doveva e che mai più rivedremo.
Pazienza, l'idea dell'Afflitta che alle tre di notte si carica sulle spalle la libreria e scende le scale ripide del palazzo è talmente gratificante che mi vengono le lacrime agli occhi.
(e anche il poterle inviare sms sul genere "Bologna è piccola...tanto piccola...ti troveremo")
(e anche il fatto che ha lasciato il posto a una nuova, splendida coinquilina, la donna di marketing simil uma thurman, che si sveglia la mattina col capello perfetto e che la sera sta con me e D. a fumare e parlar male degli uomini)
(e anche non dover più assistere alle mille e una follie dell'Afflitta)
E poi vuoi vedere che ha capito tutto? Che la fuga, nella vita, chi lo sa, che non sia proprio lei la quinta essenza?

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