Ieri sera sono andata al cinema a vedere Into the wild. Storia vera.
Trama: un giovane indiscutibilmente orizzontabile e altrettanto indiscutibilmente ritardato - l'uomo ideale, insomma - brucia tutti i suoi soldi e si ritrova scaraventato in un documentario di National Geographic lungo due anni (più o meno quanto dura il film), periodo durante il quale imparerà a cavarsela in qualsiasi-attività-anche-la-più-dura tranne che:
1. affumicare la carne di un alce, operazione in cui risulterà essere veramente una mezza sega;
2.trombarsi una ragazza bella e consenziente che lo accoglie già mezza nuda su un letto, opportunità che si canna nel giro di due battute preferendo andare a farsi gli addominali dell'asceta in modo da essere pronto per l'Alaska (il suo chiodo fisso) piuttosto che godere delle gioie del corpo, cosa che francamente mi lascia non poco perplessa perché se è vero che il corpo è espressione massima della natura, che la sua bellezza è abbacinante e l'istinto sessuale è cosa buona e giusta, e bla bla bla, allora perché non trombi la bonazza ora? poi mi dici come fai dopo, quando vai in Alaska e ci trovi solo gli alci? Comunque contento tu, contenti tutti.
Alla fine muore guardando il cielo e pensando "azz quant'è bell", anche se sul finale del film ci sono pareri discordanti.
Per l'esattezza -secondo lui- muore libero e felice avendo -sempre secondo lui- dimostrato che si può vivere in condizioni di povertà estrema e che anzi è proprio sottraendosi alla corruzione della nostra società malata che si può imparare a godere delle gioie della natura, mentre secondo me muore solo e per di più ibernato e denutrito ( e qui mi chiedo io perché per qualche strano motivo, mentre non ha problemi a squartare gli alci, non gli viene mai in mente di pescare due salmoni?) avendo dimostrato che alla fine dei conti non se la cavava così egregiamente into the wild.
Analizziamo. Per i primi minuti la sala è tutto un "uhhhhh", "oooooooh", "aaah", di fronte ai maestosi paesaggi innevati dell'Alaska, ai fiumi ghiacciati, all'alce (poraccio) e alle splendide musiche di Eddie Vedder (sia lodato iddio -e sempre sia lodato- per aver creato quell'uomo esattamente con quelle corde vocali, perché è veeramente la prova che i miracoli talvolta accadono). Dopo i primi minuti si avverte distintamente che qualcuno in sala inizia a pensare che manca qualcosa, e questo qualcosa sono i dialoghi. Ignoranti. Non sapete godere della bellezza della natura, ve ne pentirete.
E infatti non si ha il tempo di rimpiangere i dialoghi perché ben presto questo novello Thoreau inizia a parlare. Nella fattispecie, parla anche con una mela, decantandone la dolcezza e l'amabilità. Poi parla con chiunque, pure da solo. Parla, parla, parla, dice quant'è bella la natura, la gioia che può dare il contatto diretto con essa, racconta la necessità di prendere le distanze da una società che a partire dal suo nucleo base - la famiglia - è marcia. Lui parla e tu inizi a pensare che a tuo figlio non darai mai in mano libri di Thoreau e London. Parla, e tu rimpiangi il silenzio dei boschi e la voce di Eddie Vedder: desideri solo che la smetta di filosofeggiare e che ti faccia sentire il suono dell'acqua che scorre nelle rapide del Colorado, il suo sciabordare contro il canyon, l'ululare del vento durante una tempesta di neve, il crepitare del grano maturo, e possibilmente il suono di sassi che si sgretolano sotto i suoi piedi e l'eco del suo "nooooo" giù per la scarpata.
Insomma, le parti parlate sembrano voler innescare un processo di immedesimazione dello spettatore con le folli ragioni del protagonista e per fare ciò si ispirano al principio secondo cui il fine giustifica i mezzi. Devo ammettere che talvolta riescono nel loro intento, essendo talmente soporifere che pur di non sentirle preferiresti diventare un eremita, ma non solo! tutto il film sembra volerti far patire le stesse condizioni estreme che Christopher McCandless dovette sperimentare nel suo vagabondaggio: il freddo - in sala credo abbassino i riscaldamenti per quello -, la paura di non farcela (a finire il film, nel mio caso) e la voglia di superare i propri limiti, la fatica, la fame.
Il film è talmente lungo che a metà già avevo i crampi. Purtroppo nel cinema non è passato nemmeno un alce. Che luogo inospitale, altro che l'Alaska.
1. affumicare la carne di un alce, operazione in cui risulterà essere veramente una mezza sega;
2.trombarsi una ragazza bella e consenziente che lo accoglie già mezza nuda su un letto, opportunità che si canna nel giro di due battute preferendo andare a farsi gli addominali dell'asceta in modo da essere pronto per l'Alaska (il suo chiodo fisso) piuttosto che godere delle gioie del corpo, cosa che francamente mi lascia non poco perplessa perché se è vero che il corpo è espressione massima della natura, che la sua bellezza è abbacinante e l'istinto sessuale è cosa buona e giusta, e bla bla bla, allora perché non trombi la bonazza ora? poi mi dici come fai dopo, quando vai in Alaska e ci trovi solo gli alci? Comunque contento tu, contenti tutti.
Alla fine muore guardando il cielo e pensando "azz quant'è bell", anche se sul finale del film ci sono pareri discordanti.
Per l'esattezza -secondo lui- muore libero e felice avendo -sempre secondo lui- dimostrato che si può vivere in condizioni di povertà estrema e che anzi è proprio sottraendosi alla corruzione della nostra società malata che si può imparare a godere delle gioie della natura, mentre secondo me muore solo e per di più ibernato e denutrito ( e qui mi chiedo io perché per qualche strano motivo, mentre non ha problemi a squartare gli alci, non gli viene mai in mente di pescare due salmoni?) avendo dimostrato che alla fine dei conti non se la cavava così egregiamente into the wild.
Analizziamo. Per i primi minuti la sala è tutto un "uhhhhh", "oooooooh", "aaah", di fronte ai maestosi paesaggi innevati dell'Alaska, ai fiumi ghiacciati, all'alce (poraccio) e alle splendide musiche di Eddie Vedder (sia lodato iddio -e sempre sia lodato- per aver creato quell'uomo esattamente con quelle corde vocali, perché è veeramente la prova che i miracoli talvolta accadono). Dopo i primi minuti si avverte distintamente che qualcuno in sala inizia a pensare che manca qualcosa, e questo qualcosa sono i dialoghi. Ignoranti. Non sapete godere della bellezza della natura, ve ne pentirete.
E infatti non si ha il tempo di rimpiangere i dialoghi perché ben presto questo novello Thoreau inizia a parlare. Nella fattispecie, parla anche con una mela, decantandone la dolcezza e l'amabilità. Poi parla con chiunque, pure da solo. Parla, parla, parla, dice quant'è bella la natura, la gioia che può dare il contatto diretto con essa, racconta la necessità di prendere le distanze da una società che a partire dal suo nucleo base - la famiglia - è marcia. Lui parla e tu inizi a pensare che a tuo figlio non darai mai in mano libri di Thoreau e London. Parla, e tu rimpiangi il silenzio dei boschi e la voce di Eddie Vedder: desideri solo che la smetta di filosofeggiare e che ti faccia sentire il suono dell'acqua che scorre nelle rapide del Colorado, il suo sciabordare contro il canyon, l'ululare del vento durante una tempesta di neve, il crepitare del grano maturo, e possibilmente il suono di sassi che si sgretolano sotto i suoi piedi e l'eco del suo "nooooo" giù per la scarpata.
Insomma, le parti parlate sembrano voler innescare un processo di immedesimazione dello spettatore con le folli ragioni del protagonista e per fare ciò si ispirano al principio secondo cui il fine giustifica i mezzi. Devo ammettere che talvolta riescono nel loro intento, essendo talmente soporifere che pur di non sentirle preferiresti diventare un eremita, ma non solo! tutto il film sembra volerti far patire le stesse condizioni estreme che Christopher McCandless dovette sperimentare nel suo vagabondaggio: il freddo - in sala credo abbassino i riscaldamenti per quello -, la paura di non farcela (a finire il film, nel mio caso) e la voglia di superare i propri limiti, la fatica, la fame.
Il film è talmente lungo che a metà già avevo i crampi. Purtroppo nel cinema non è passato nemmeno un alce. Che luogo inospitale, altro che l'Alaska.