Ed eccomi qui, con lo stesso tempismo e la stessa piacevolezza di una pandemia globale -e anzi proprio per quella- a scrivere un post su un blog in disuso da secoli, per raccontare la vita tra quattro mura con una figlia di 7 anni lontana da qualsiasi forma di scolarizzazione e socialità da più di un mese, un marito in smart working che ha fatto del pigiama uno stile di vita e me stessa e il mio lavoro come insegnante di inglese (online, con una rete che crolla nel bel mezzo di una speaking session), moglie, cuoca, wannabe madre alternativa bio steineriana, ma cosa fondamentale, donna dalla ben scarsa pazienza e dalla tempra, per così dire, levantina.
Tratti in prima battuta rimasti in sordina, forse silenziati da una legittima ansia per l'aumentare dei casi di Coronavirus nella ridente cittadina emiliana che da ormai 4 anni mi annovera tra i residenti e che negli ultimi giorni hanno deciso di deflagare in tutta la loro potenza, regalando momenti di puro parossismo complice il dilagare di una primavera beffarda e impietosa che ci impone finestre spalancate e lunghe ore sui balconi a farci i fatti degli altri.
Che non la si legga come un voler delegare le colpe agli altri - il mio essere altamente infiammabile è senza dubbio alcuno il nodo centrale - ma c'è da dire che irritarsi, quando si è in quarantena, è un gioco da ragazzi, essendo l'isolamento un potente detonatore per delle tendenze che normalmente teniamo a bada grazie a un briciolo di self control. E così, un post su facebook può porre fine ad amicizie decennali, tua figlia che ti chiama tremilaseicento volte all'ora ti fa maledire la serata che tu e suo padre non avete optato per il cinema anziché starvene a casa e il padre di tua figlia, bè lui diventa il target n.1 di ogni ritorsione e angheria che la mente umana abbia partorito.
Perché lui, parliamone.
Stranamente rintemprato da questo periodo di smart working, si sveglia canticchiando in falsetto in maniera ossessiva e vaga per casa in ciabatte e pigiama con occhio languido da latin lover fallito vaneggiando frasi in uno spagnolo tanto sgangherato quanto fuoriluogo - "te quiero mi amor" , "tu eres mi muchacha bonita", "yo soy el toro", e tutto un florilegio di movenze da telenovela latina anni '80 che francamente sortiscono come unico effetto, quando va bene, un numero imprecisato di sbeffeggiamenti, o peggio, lanci di ciabatte e manrovesci.
La Bambina - la chiameremo così - forse contagiata dalla demenzialità paterna, dopo due settimane in di impegno materno nel rallentare l'arrivo inesorabile della debacle tramite l'applicazione di una rigorosa disciplina montessoriana che ha sortito come solo effetto quello di rendere la mamma ancora più intrattabile, è regredita da studentessa modello, amante dei libri e della danza classica, a quello di scimmietta bonobo capace solo di ingozzarsi a ogni ora del giorno e della notte e avente la nintendo switch come prolungamento naturale del corpo. Sveglia sul fuso orario della Tasmania, a mezzanotte tiranneggia ancora su Netflix, i capelli lunghissimi e incolti da Rapuntzel, linguacciuta e polemica come un'adolescente ma sanguisuga come un bebè in fasce, insomma esattamente la figlia selvatica che in molti di voi si ritrovano dopo un mese e mezzi lontani da scuola.
Quella stessa scuola che, fino a febbraio appariva come un'istituzione castrante e degradata di cui vedevamo solo le enormi pecche, e oggi ci sembra un'entità lontana e salvifica, troppo a lungo vituperata.
La verità, signori miei, è che 24 ore insieme sono tante - 24 ore insieme per due mesi sono disumane per le famiglie che prima erano abituate ad avere i loro spazi e ne sono state private. 24 ore da soli sono disumane anche per chi si trova a non poter condividere questo orribile frangente con nessuno, quindi inutile scannarsi sui social a chi se la passa peggio. Siamo tutti sulla stessa barca, quelli che si svegliano la mattina e si sistemano per darsi un tono e quelli in pigiama d'ordinanza, soli e accompagnati, quelli che mantengono le apparenze e quelli che sbracano clamorosamente, tutti impauriti, infelici, nevrastenici, bisognosi di un contatto e impauriti dallo stesso.
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Il posto è per Takajiro che mi ha fatto venir voglia di rimettere mano al blog. Spero tu te la stia passando bene.