Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Mi sono innamorata. 
Stamattina sono uscita di casa con la mia caviglia infortunata e mi sono innamorata.
E vabbè che è primavera, tutto sembra più bello, il grigiore invernale se n'è andato, e l'ormone è in subbuglio, ma io mica me l'aspettavo di innamorarmi così, di prima mattina, insomma, capirete, non avevo ancora preso il caffè, e invece.
Il fatto è che la gonna nera, dalle linee essenziali e un po' retro, sembrava cucita su di me. Nè troppo lunga da coprire le ginocchia, che qui si aspira ad essere signorine per bene ma-non-troppo, nè troppo corta da fare "squinzia al mare", nè troppo fasciata sui fianchi, nè larga o informe. Perfetta nella sua semplicità.
E la camicetta-kimono di seta nera scivolata con fiori di mandorlo che m'ha subito fatto pensare alle japonesairie di Van Gogh, con un laccetto di raso scarlatto a contrasto per sottolineare il punto vita, e lo scollo preciso ad alludere senza svelare.
Insomma, io ho provato il tutto, ammirato la grazia e l'armonia del matching perfetto, sentito nel mio cuore dell'amore incondizionato per lo stilista che ha disegnato quei capi, le sarte che li hanno cuciti, la commessa che me li ha indicati e il signore iddio che ha creato un mondo con così tanti bei negozi, pagato senza batter ciglio il conto salatissimo ma mai troppo salato nell'ottica del benessere e dell'autostima che mi darà vestirmi in quel modo in una sera estiva andando a bere qualcosa con un uomo che al 90% non si accorgerà di nulla a meno che non apra il kimono e riveli la mercanzia ma io mi sentirò la più figa della terra comunque, e sono uscita dal negozio con la testa alta e il portamento fiero.
Per un attimo ho avuto paura di tornare a casa, riprovare i vestiti, e pensare come al solito che si fosse trattato di un abbaglio, paura di sembrare una mongolfiera, una bambina che si è spiaccicata in faccia il rossetto della mamma, una fricchettona vestita per la festa.
E invece. Ho riprovato tutto poco fa e sono sempre più convinta dell'acquisto. 
Non so, forse i soldi che spendiamo in psicologi, dovremmo davvero spenderli per fare shopping più spesso.

25.5.11

I still miss someone

Posted by SunOfYork |

Io, di solito, quando qualcuno mi fa quel discorsetto del carpe diem, la solita noiosa vecchia storia di cogliere l'attimo, di vivere il tempo coniugandolo solo ed esclusivamente al presente, di farsi portatori di uno zeitgeist con parole ed azioni, ecco, io di solito in quella circostanza lì regalo al mio fortunato interlocutore tutto il mio miglior scetticismo. Il presente, per me, ha sempre contato poco, tutta volta come sono con lo sguardo in avanti, al mutamento perpetuo, al continuo rilanciare, o viceversa ripiegata su un passato dai contorni quasi sfumati e mitici. Voglio dire, io il presente non lo vedo proprio. Anche quando è tetro e soffocante, non mi concedo la sofferenza: guardo avanti e avanti vado come un panzer. E quando son giornate serene, non lo sono tanto quanto altre passate, o quanto lo saranno le future. Così l'amore, magari c'è o c'è stato a volte, e non me ne sono accorta, e ho confuso le acque con tanti, troppi punti di domanda su passato e futuro.
In questi giorni guardavo una persona che, da due mesi, ha perso l'amore della sua vita. Una persona accanto a cui s'era svegliata per trent'anni ogni benedetto giorno e con cui aveva condiviso un presente dimentico di sè, come sempre accade quando si pensa d'aver tutto il tempo davanti.
E niente, è evidente che è una persona spezzata, che ogni tanto col pensiero va altrove, e quell'altrove è il ricordo di suo marito. E credo che se avesse avuto la possibilità di conoscere quella persona, un istante, un giorno, o un anno prima, avrebbe benedetto quell'istante, giorno, anno, per tutto il resto della sua vita.
Quindi ecco, io, che capisco qualcosa di me solo in termini relativi all'altro, ho capito che per me il presente sta avvenendo ora, in questi mesi, e che non ha senso rallentarlo saltellando su altri piani temporali.
Ciò non toglie che When I'm sixty-four dei Beatles resta la più bella canzone d'amore di sempre. Però diciamo che ho altri trentacinque anni per pensarci, ecco tutto.

Bene, dopo quattro anni di vita in questo appartamento del centro storico di Bologna, a pochi mesi dal momento in cui lascerò questo appartamento nel centro storico di Bologna (e il centro storico di Bologna) (e il centro di Bologna) (no, a Bologna ci resto), mia madre ha deciso di venire a fare visita per ben quattro giorni. Ora, il dilemma che è sorto, è questo: posto che comunque mia madre, appena varcata la soglia di casa, verrà colta da voglia repentina di lavare e ordinare da cima a fondo l'appartamento, io, l'appartamento in che stato glielo faccio trovare?
La risposta ovvia, la prima che mi è venuta in mente, è stata ora mi smazzo una due giorni di pulizie da cima a fondo in modo che quando arriva, trova tutto splendente e si riposa, e io faccio la parte della brava figliola.
Assurdo. Mia madre mi conosce abbastanza bene da capire che quell'ordine e quella pulizia non sono all'ordine del giorno e andrebbe a cercare in qualsiasi angolo indizi di quel letamaio che si aspetta sia casa mia. Inoltre, anche qualora cadesse nel tranello (non ci cadrebbe, son pronta a scommettere una passata di swiffer nelle vostre case), avrebbe da ridire, e pulirebbe tutto di nuovo, o si metterebbe a stirare, o a riordinare l'armadio, o a ritinteggiare gli scuri, o che so io.
A questo punto, mi son detta: ragiono egoisticamente e le lascio fare qualcosa così si sente utile, e questo qualcosa, accidentalmente, sarà la cosa che mi rompe di più fare: pulire casa. (stirare, fare i piatti, riordinare l'armadio, ritinteggiare gli scuri, lo faccio molto volentieri, invece). Solo che comunque c'è un inghippo: se mia madre mi conosce abbastanza bene da capire che una estrema meticolosità domestica non m'appartiene, è pur vero che sono andata via di casa da un bel po', e secondo me non mi conosce neanche tanto bene da sapere che sciattona io sia diventata. Nè, francamente, voglio che lo sappia.
Quindi ho avuto un'idea geniale: ho tirato a lucido la casa, poi ho sbriciolato un cracker in un angolo, ho lasciato una mensola della libreria impolverata, ho versato una goccia di caffè sui fornelli e abbandonato un paio di mutande sotto il letto. Poi, soddisfatta mi son seduta sul divano.
Unica pecca del piano, mia madre arriva martedì e fino ad allora la casa avrà raggiunto i livelli di entropia ad essa confacenti.

Non sono sparita, è che una fase della mia vita si sta chiudendo, e la successiva non si è ancora aperta. Sono in pratica in uno di quei momenti in cui tutto smette di essere certezza e si fa movimento, e io son qui e tiro il fiato fino all'ingresso nella prossima fase. Per non affondare, ho bisogno di parlare di continuo, con tutti. Quindi ammorbo amici e parenti, ho una psicologa, e tornerò a scrivere qui con più frequenza di prima. Affliggo anche il poveretto che mi s'è pigliato, propinandogli di tanto in tanto delle versioni più o meno incisive de "Il Discorso" (sì, proprio quel discorso, quello che prima o poi tutte facciamo ai rispettivi uomini). Ne parlo qui, sull'uscita di maggio di Wu Magazine.

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