Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

E così pare che almeno per me l'estate sia finita. La giornata ventosa fuori lo testimonia, l'amico K. in procinto di venirmi a raccattare da casa in un tentativo di car sharing che ci porterà a roma, firenze e solo alla fine di nuovo a bologna al seguito di concerti che sognavamo da anni, e la quantità tendente all'infinito di valigie di vestiti e provviste di cibi pugliesi, pure.
Ma ciò che più lo testimonia è l'immutabile e sempre provante trepidazione dei miei genitori, lui tutto preso a far battutine sulla figlia che parte ma che nonostante siano ormai diversi anni che vive a 600 km di distanza da mamma e papà, senza di loro non è in grado nemmeno di sostituire una lampadina, lei che cela la tristezza del distacco diventando iperefficiente e riempendo ogni spazio vuoto nelle valigie con pacchetti di kleenex e merendine, in un moto di horror vacui e precisione degno della signorina rottermeier.
Che, si sa, già le partenze di per sè mettono ansia, gestirle poi all'interno di un delirio parossistico di ansie e nevrosi familiari, ti fa perdere tutta la calma zen acquistata in un mese di ferie.
Sempre uguali le raccomandazioni, rituali le domande (hai soldi? hai preso le chiavi? mi chiami quando arrivi?), sempre identica la mia reazione di stizza da vera nevrotica quasi trentenne, perenne la sensazione di partire per una colonia estiva per la romagna degli anni '40 con tanto di maglietta a righe marinare e brachini corti, innegabilmente straziante il sorriso barbuto di un padre che ti accompagna in giardino e ti saluta con la mano. Altrettanto innegabilmente confortante sapere che certe abitudini saranno sempre identiche a se stesse.
Mi restano di quest'estate molte passeggiate sul bagnasciuga, risate, baci, capelli biondi per il tanto mare, una serenità che viene dal profondo e l'immagine di chi, come un padre, spezza la punta dell'anguria e me la dona con un gesto di una dolcezza tale da obbligarmi a ricacciare indietro le lacrime.

La vita o è davvero ironica o davvero crudele.
Io di solito propendo per la prima opzione, per il gusto scenico di una scrollata di spalle seguita a ruota da un sorriso, per quanto amaro. Per la risata da avanspettacolo figlia dell'osservazione dell'assurdo e dell'incomprensibile.
Poi ci sono i giorni che fai fatica a prenderla con ironia.
Tipo quando è ferragosto, piove e non ti vien facile sorridere, e i cespugli di mirto, le dune, il cappello di paglia, il sole a picco, gli arcade fire a far da colonna sonora ai chilometri macinati tra saline e uliveti in compagnia di persone speciali, l'acqua cobalto e certi sguardi cristallini dei giorni precedenti non bastano a non farti sentire piccola e nera.
E così si conclude il messaggio positivo di ferragosto 2010.

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