Yes, darling. Life sucks

Learning how to cope since 1982

Attorno al 1600, un tale Torquato Accetto scriveva un trattatello intitolato "Della dissimulazione onesta" in cui sosteneva le ragioni della dissimulazione come strenua forma di difesa della verità e dei sentimenti privati contro l'ipocrisia e i soprusi del suo tempo.
Quello che non sapeva Torquato Accetto era che, quattro secoli dopo, qualcuno avrebbe nominato la sua opera in un blog per sdoganare alcuni comportamenti femminili.
Mi spiego. Quanti di voi sono state vittima di un rifiuto da parte di una donna?
Ora, posto che quella donna non sono io (secondo la mia etica negarsi a un uomo è immorale, perché il rifiuto lo incattivisce innescando tutta una serie di conseguenze karmiche che son certa di aver già illustrato in altra sede), penso che più o meno tutti si siano trovati nella spiacevole situazione di prendersi un due di picche. Bene, quello che vi dico oggi, è che la donna in questione stava dissimulando. Avete capito bene, dissimulando. Ma dissimulando cosa? Ma la sua natura più intima, i suoi palpitanti sentimenti, le sue speranze più private, ovvio. Ma visto che parlo ai maschi, esemplifichiamo in due semplici principi generali con relativi esempi.
1. Un rifiuto netto, non è mai un rifiuto. E' un consenso smaccato.
Tempo addietro, quando ancora ero molto giovane e non mi attenevo alla rigida etica del "non-no", avevo una cotta per un ragazzo.
Situazione: estate, casa al mare, due coppie, io e lui nella stessa stanza, vaga ubriachezza di entrambi. Decido di lanciarmi.
SOY: "bè direi che il motivo per cui hanno invitato proprio me e te a stare qui con loro è evidente, vogliono appaiarci".
X. : "Dici?"-con sguardo speranzoso- "Ma perché, tu ci staresti con me?".
SOY: "No, mai, ma figurati!".
Ovviamente calò il silenzio (fatta eccezione, dopo mezz'ora, per i tonfi sordi della mia testa contro le mattonelle - anzi ragazzi, se mi leggete, sappiate che quel rumore ritmico proveniente dal bagno che vi svegliò quella notte, ero io a produrlo).
Chiaramente il ragazzo non aveva capito le motivazioni del mio diniego: troppo interesse si era tramutato in una chiusura. Sarebbe stato sufficiente ripensare a Torquato Accetto per capirlo.
2. Mezzo rifiuto è un rifiuto sicuro.
Corollario: la quantità delle argomentazioni che una donna affastella per giustificare un rifiuto è inversamente proporzionale alle chance che avete di farla ricredere.
Per dirla in breve, a questa categoria appartengono le cosiddette "profumiere", cioè quelle che fanno baluginare la possibilità di un "oltre" (non parliamo di un oltre metafisico/montaliano, in caso qualcuno se lo stesse domandando), e poi, con ancora il capezzolo nella vostra bocca, vi dicono che non se la sentono di continuare.
I motivi addotti di solito non sono assolutamente richiesti (trattasi di tipica excusatio non petita) , sono variegati e tendono a combinarsi in un coacervo di nevrosi che fiaccherebbe il desiderio sessuale di un carcerato: rotture traumatiche, desiderio di concentrarsi solo sulla propria carriera, problematiche con la figura paterna, ex fidanzati bastardi. Di certo c'è solo che voi, a differenza degli ex fidanzati bastardi (una categoria verso la quale mi sento di spezzare una lancia perché fornisce sempre una scusa valida per rifiutare un uomo), siete delle persone speciali. E che a voi non la darà mai.

Quindi vi conviene concentrare le vostre energie su quelle che dissimulano il proprio interesse. Superato l'ostacolo della dissimulazione, vi imbatterete in quello della simulazione. Ma quello è già un buon segno, vorrà dire che avrete aggirato il due di picche.

S.:"Non riesco a sentir dire la parola certezza, senza poi dire Tonno Riomare"
K.:"Ah sì come lo spot! Come me, che quando ho una cotta per una donna, so già che non me la darà. E' una certezza".
S.:"Tonno Riomare"
K.:"Cazzo, sei uno spot vivente"

Quanto può durare una cotta? Lo status di "cotta" è argomento discusso (non frega a nessuno) e controverso (solo per la sottoscritta). Dicesi cotta, l'infatuazione estemporanea e istintiva per qualcuno/a che non si conosce bene, ma (già ce lo si vuol portare a letto) le cui caratteristiche per motivi ignoti (taglia di reggiseno/mascella volitiva) e variegati (taglia di reggiseno/mascella volitiva) risaltano a tal punto agli occhi dell'infatuato, da rendere quest'individuo unico nonostante la certezza (Tonno Riomare) che il mare (o almeno la boccia) sia piena di pesci.
Ora. La gestione della cotta è talmente complessa da farmi a motivo credere che nelle università, assieme a un indispensabile corso di "Fondamenti di Anatomia Femminile", sarebbe necessario introdurre anche un esame di "Management delle cotte e gestione del rischio". Ci sono diversi tipi di individui, quelli che hanno cotte ogni tre minuti (cioè, vedono un soggetto interessante e dicono di avere una cotta, poi però ne vedono un altro,e ne hanno un'altra, e alla fine della giornata per un fatto statistico riescono a trasformare la loro "cotta"quotidiana in una sfiziosa attività bruciagrassi), quelli che hanno una cotta per una persona e si definiscono "fidanzati" (questo avviene soprattutto quando si deve definire il proprio status su facebook e non si vuol far vedere che si è scapoloni impenitenti ancora dopo i 30, per cui ci si dichiara impegnati, creando lo scompiglio tra i propri contatti che iniziano a ricamare le iniziali sulla biancheria da corredo da regalare alle nozze) e quelli che hanno cotte che durano anni, mai concretizzate, platoniche, cotte a cui andrebbe data una pensione per anzianità, che tornano a ondate e che fanno da sfondo a relazioni anche stabili, cotte che se per caso dovessero subire un elettroshock, di tutto si scorderebbero, tranne del fatto di avere una cotta per quella persona. Cotte che si autoalimentano, che sono un riflesso condizionato, che se Pavlov fosse vivo, farebbe l'esperimento su di loro e non sul cane e stai pur certo che basterebbe pronunciare il nome del fortunato per vederli salivare.
La teoria del giorno è che comunque si decida di vivere la propria cotta, essa è sempre perversamente subordinata al non adempimento della stessa.
La cotta, per sua natura, è effimera, inafferabile, sfuggente, inconcreta, vincolata alla non realizzazione. Se ti va bene, e la concretizzi, la cotta finisce e si trasforma in altro, e quest'altro in altro ancora, e poi quest'altro ancora finisce, ed è come se non fosse successo niente . Se ti va male, la cotta finisce e ti resta la voglia di prendere a testate il muro perché ti sei giocato la possibilità di fantasticare su un tempo in cui sarai felice con quella persona, in cui trascorrerai le serate insieme a lei a leggere a letto, la sbircerai da dietro le pagine e ridacchierai pensando che forse era più di una cotta, e che anche se il mare è pieno di pesci, comunque tu almeno ce l'hai una certezza.
(tonno riomare)

Una delle (innumerevoli) cose che odio di più, a parimerito con quelli che già da un mese mi chiedono cosa farò per Capodanno - ragazzi, non facciamoci prendere dalla smania di San Silvestro, non ho organizzato un bel cacchio di niente, non andrò in discoteca, non andrò a eventi cool, non so manco se andrò in piazza a Bari, se mi va bene mi ubriacherò con le zie zitelle giocando al mecante in fiera, ora smettetela di stressarmi - è trovarmi involontariamente a fare la parte del terzo incomodo. Voglio dire, nel sunofyork-pensiero, il concetto di terzo incomodo non è nemmeno lontanamente contemplato: la coppia, infatti, non è considerata come un coacervo inscindibile di puccipucciosità e nevrosi latenti, ma come una somma di individualità. Pertanto, se un amico/a si dovesse aggregare all' uscita di un'ipotetica coppia di cui la sottoscritta è parte, non sarà mai un'uscita a 2+1 ma un'uscita a tre (ah, il fascino del numero) e mai e dico mai l'elemento aggregato - chiamiamolo così - sentirà di reggere il moccolo. Non tutte le coppie, però, sono altrettanto open minded: ricordo ancora con orrore una volta che andai con una mia cara amica al mare, e lei candidamente, quando già eravamo in spiaggia, mi comunicò che di lì a poco sarebbe arrivato il suo nuovo fidanzato. Lievemente stizzita (era il primo giorno di mare, e mostrare trippette bianchicce e sballonzolanti al nuovo fidanzato della mia amica non era esattamente il mio desiderio per quel giorno), abbozzai e dissi che non c'era problema. Non immaginavo che nuovo significava che avrebbero dovuto trascorrere la loro luna di miele proprio a Pane e Pomodoro (per i non baresi, una spiaggia culto della città). In poche parole, mi trovai 1. tagliata fuori dalla conversazione (perché le coppie recenti si parlano sempre a bassa voce?) e da tutto un fitto scambio di sguardi molto eloquenti e che secondo me significavano pressappoco "appena sta stronza se ne va, ti spello vivo/a" e peggio ancora 2. risucchiata in un vortice di passione, mani nei costumi da bagno, lingue nelle orecchie, tuffi molto hot e nuotate tantriche. Ecco, ora quello che volevo dire è che secondo me è molto da maleducati mettere una persona nella condizione di sentirsi il terzo incomodo. A meno che non si tratti di un modo per proporre una cosa a tre, allora prego, fate pure.
Ad ogni modo, certe volte si scopre che si può fare il terzo incomodo anche quando si è in presenza non di due esseri umani, ma di un essere umano e un oggetto tecnologico, nella fattispecie il tom tom. Immaginate la scena: la donna entra in macchina, come di rito abbassa il parasole pronta a passare altri cinque minuti allo specchietto (oltre ai 45 passati in casa) a sistemarsi il trucco, vabbè, lo specchietto non c'è -imperterrita ogni volta che sale in macchina abbasserà il parasole nella speranza che uno specchietto sia spuntato dal nulla -, in compenso c'è qualcosa di molto più tecnologico e nuovo, il navigatore. Dal momento in cui accende il navigatore, per l'uomo la propria donna non esiste più - se lei gli dice di prendere una strada che hanno fatto miliardi di volte, lui fa finta di non sentirla, ipnotizzato dal suono suadente della voce della signorina del tom tom. Anzi, pur di sentire quella vocina, accenderà il navigatore pure per andare al tabaccaio dietro l'angolo, riuscendo a raggiungere qualsiasi punto (anche il più vicino) facendo non meno di 50km di strade sterrate e riducendo la macchina come dopo una Parigi-Dakar. Mettete il caso che voi stiate filosofeggiando sull'asintattismo onirico nel surrealismo di Dalì: verrete comunque zittite per far spazio alla vocina. Sostanzialmente la compresenza di un navigatore e di una donna in macchina, comporta de facto l'assunzione da parte della donna del ruolo di terzo incomodo. Esistono due approcci maschili al navigatore:
- quelli che si relazionano all'oggetto come a una madre: per cui faranno sempre quello che viene detto dal navigatore, lo venereranno e gli rivolgeranno parole d'affetto, e rinfacceranno alla propria compagna di non aver mai fatto per lui quello che ha fatto il navigatore (salvargli la vita quella volta che non riuscivano a trovare l'uscita dall'ikea);
- quelli che si relazionano all'oggetto come a una moglie: lo stanno a sentire per un po', poi dopo iniziano a non sopportarlo più, tentano disperatamente di spegnerlo e non riuscendoci lo prendono e lo scagliano dal finestrino. Poi però si rendono conto che senza di lui non vanno da nessuna parte, e tornano indietro a riprenderlo.

Negli anni ho capito che fare il terzo incomodo quando la coppia è formata da uomo-madre (leggete: navigatore in veste di madre) è un compito ingrato. Fare il terzo incomodo nella coppia uomo-moglie (navigatore in veste di) è molto appagante, perché per una volta è qualcun'altra a passare per la rompicoglioni, e tu finalmente sai come ci si sente a fare l'amante. (Una figata)

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